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Suicidio assistito: il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza?

La morte non è certamente una bella cosa, ma in certi rari casi è meglio un po’ prima con meno sofferenze che patendo per settimane o mesi. Questa dovrebbe essere la ratio di una norma sul suicidio medicalmente assistito.

Penso che una stretta regolamentazione del fenomeno sia una scelta migliore rispetto al far finta che non esista il problema: dare la facoltà ad un malato terminale che non ha più prospettive di morire in un punto in cui ancora la sua vita è un minimo dignitosa è un qualcosa di comprensibile.

Sicuramente un problema si pone tra le parole “suicidio” e “medicalmente assistito”: il lavoro dei medici è quello di salvare le vite, non terminarle, e giurano esplicitamente di non provocare la morte. “Primum non nocere” è il mantra medico ed è difficile sostenere che fare tutto il necessario perché qualcuno muoia lo rispetti: la distinzione tra suicidio assistito (io ti preparo tutto e fai tu, anche solo premendo un bottone) e eutanasia (fa il medico) è, mi si perdoni il termine, una mezza paraculata data dal fatto che se facesse il medico l’iniezione qualunque associazione di categoria avrebbe – molto – da ridire e anche i codici penali di molti paesi non sarebbero felici.

Che ci sia un’incompatibilità a pelle tra medici e morte lo si nota anche dai rifiuti massivi riguardo alla pratica dell’aborto volontario o, nei paesi dove c’è, dell’iniezione letale, considerata anzi una pericolosa medicalizzazione apparente di essa. In Italia c’è sempre un braccio di ferro tra il sacrosanto diritto dei medici a non prendere parte a procedure contrarie all’etica medica e l’obbligo delle strutture di fornire la prestazione e, pare, ci porteremo questa tendenza anche nel campo del suicidio assistito.

Proprio parlando di iniezione letale molti protocolli per il suicidio assistito la ricordano e sappiamo bene come i protocolli adottati per le iniezioni letali non siano a prova di bomba, anche perché solitamente gli studi farmacologici non servono a capire come far morire le persone. Negli Stati Uniti le restrizioni dell’UE sui farmaci utilizzati nelle iniezioni letali hanno obbligato alcuni Stati a cambiare protocollo per il suicidio assistito, mentre in Canada, dove non c’è questo problema, un cocktail standard è midazolam, propofol e rocuronio: due su tre sono stati utilizzati per le iniezioni letali negli US, l’altro è stato valutato ma non è stato possibile procurarselo per le citate restrizioni.

Chiunque si occupi di moralità della pena di morte sa che la fucilazione è decisamente il metodo più umano e rapido di porre fine a una vita.

Ma al netto di ogni questione tecnica vi è una questione morale più profonda: tutti possiamo capire il dolore di un malato terminale che soffre e che non vuole passare gli ultimi mesi della sua esistenza in una terribile sofferenza. Ma se non si vigila è facile cadere in una situazione in cui la morte non è una scelta difficile che compiono poche persone in grave difficoltà ma, invece, diventa una scelta “facile” che si viene costretti a compiere.

In Canada, dove ormai il suicidio assistito conta per una morte su 20, a chiederlo sono spesso persone non malate terminali ma di cui semplicemente non erano “rispettati i bisogni sociali“. Così persone in povertà, a rischio di perdere la casa, che soffrono di isolamento sociale o dipendenti da droga vengono fatte morire. In un notissimo caso un’atleta paralimpica fece domanda per l’installazione di una rampa per l’accessibilità in casa propria e le venne offerta… l’eutanasia.

Perché la morte sia una extrema ratio e non una semplice pulizia del classico suicidio bisogna vigilare costantemente. Per fortuna in Italia il movimento per il suicidio assistito lo vede come questa scelta estrema, si veda il caso di Marco Cappato con Oliviero Toscani: alla fine l’Italia è un paese di moralità abbastanza cattolica e l’idea che a un cinquantenne senza casa e con qualche malattia venga offerta la morte invece di una casa e delle cure di cui ha bisogno ci fa intimamente senso.

Ma più ci si secolarizza, più questa bussola morale rischia di perdersi. Non sapete quanti post ho letto su social utilizzati da giovani che sostengono che il suicidio assistito dovrebbe essere aperto a tutti, perché così sarebbe più pulito e meno traumatico per tutti. Una società che la pensa così è una società fallita, morta e sepolta.

Per quanto sia nobile l’intento di evitare sofferenza ai malati terminali c’è un rischio concreto che, legalizzando la pratica, si renda più conveniente la morte che la vita per persone la cui vita è, per dirla in termini controversi, assolutamente “degna di essere vissuta”. La società ha il dovere di vigilare perché ciò non accada.

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Informatico di giorno, spietato liberista che brama la secessione del Nord di notte. Con la libera circolazione, dato che amo la pizza.

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