Ho parlato varie volte su queste frequenze di istruzione tecnica (qui, qui, qui, qui, qui, qui ma anche qui) e dunque posso commentare la riforma del governo Meloni che prevede la riduzione degli anni di istruzione tecnica a quattro, con una sperimentazione relativa agli ITS per due anni aggiuntivi con un forte e chiaro… Boh!
Infatti, non c’è nulla di negativo nelle scuole quadriennali: in Croazia (ho fatto un video sul mio canale informatico parlando dei loro programmi) ci sono e sono decisamente interessanti, il tutto a parità di durata della scuola “elementare+media”: con orari e programmi fatti bene, senza inutili bienni comuni e le necessarie materie scientifiche e umanistiche diffuse per tutti i quattro anni (o tenute solo al primo) non è certamente impossibile imparare quello che si impara in cinque anni in meno tempo.
Non è nemmeno necessario, però: si potrebbe argomentare facilmente che con una formula 5+1 sarebbe stato più semplice rimaneggiare i programmi e ottenere l’integrazione con gli ITS per l’anno aggiuntivo, mentre con i quattro anni si fa una scommessa più grande: riuscirà il sistema istruzione italiano a riformarsi sufficientemente senza che la riduzione temporale comporti una riduzione di ciò che viene appreso o un eccessivo aumento dei carichi per gli studenti? Non siamo nell’era Bianchi della “filosofia ovunque”, ma il sistema della pubblica istruzione rimane una burocrazia sovietica e non riesco ad avere particolare fiducia in esso.
Personalmente, avrei preferito un modello 5+1, con ottenimento di un diploma EQF-5 al termine dei sei anni o di un EQF-4 ai cinque, eliminando i bienni comuni ma mantenendo le scienze su tutti i cinque anni, soprattutto nell’ottica dei test d’ingresso universitari dove, al momento, gli studenti liceali sono avvantaggiati proprio grazie all’avere fisica e scienze fino al quinto anno. Partendo subito con la disciplina d’indirizzo vera e non in una versione addolcita, magari con una maggiore integrazione con il mondo del lavoro, si può avere un tecnico molto più qualificato di quelli odierni e un anno fatto meglio, in collaborazione con gli ITS, può essere la ciliegina sulla torta. Se proprio avessi dovuto fare una sperimentazione, avrei sperimentato una via d’uscita al quarto anno con un diploma “ridotto”, ma ciò ovviamente andrebbe a intrecciarsi con gli IeFP.
Tra i professori vi è molta opposizione a questa misura, ma non per le ragioni che vi ho esporto, che sono ovviamente troppo nobili e ragionate per la nostra classe docente, ma per ben più vil ragioni: un anno in meno vuol dire meno lavoro per i docenti.
Ho preso alcuni di questi post e ho chiesto a ChatGPT di farmi una sintesi ad usum delphini, eccola qui:
È imperativo opporci strenuamente all’intenzione di ridurre la durata degli istituti tecnici e professionali da 5 a 4 anni. Questo cambiamento comporterebbe una riduzione del personale in tutte le discipline e avrebbe conseguenze negative in termini di posti di lavoro, sovrannumero e impedirebbe nuove assunzioni per coloro in attesa, creando inoltre una stretta connessione tra gli istituti tecnici e professionali e i percorsi ITS.
In buona sostanza chissenefrega se questa riforma può – ipoteticamente – migliorare l’istruzione e altrettanto chissenefrega se vuol dire far fare un anno in meno ai ragazzi, cosa che va pensata bene prima di farla (bisogna però ammettere che quella delle scuole quadriennali è una tendenza abbastanza diffusa in generale, si veda anche il recente liceo TED): un anno in meno vuol dire ovviamente meno ore di insegnamento e, soprattutto, meno classi, ossia meno succosissime cattedre per i nostri amati eroi.
Per non parlare di questo timore di connessione Tecnici-ITS: ma magari! Le scuole tecniche devono formare tecnici e le competenze per farlo sono spesso fuori dalle mura di una classica scuola, gli ITS – grazie al loro maggior contatto col mondo del lavoro – possono divenire una risorsa molto utile e importante per loro. Un docente di informatica non avrà mai il tempo né la testa tra lezioni e verifiche di aggiornarsi per conoscere gli ultimi framework usati per sviluppare siti web, un formatore esterno li usa tutti i giorni.
Sia chiaro, se questa riforma fosse sbagliata nel merito, potrebbe aver senso dire che oltre ad esserlo eliminerebbe dei posti di lavoro, ma se invece fosse nell’interesse degli studenti?
Non importa, non è nell’interesse dei docenti come blocco corporativo, dunque non deve passare. Ciò ovviamente varrebbe per qualsiasi riforma, anche quella espressa pochi paragrafi fa, così come vale per l’autonomia nella scuola o – orrore diffuso in mezza Europa – l’assunzione dei docenti da parte del singolo istituto o distretto scolastico. Tutte cose che creerebbero benefici agli studenti, che avrebbero una scuola che li forma meglio, con docenti che non cambiano ogni tre per due né supplenze eterne.
Ricordo quando discutevo con i giovani di sinistra: dicevano di non voler essere numeri, di voler contare, di volere un sistema che li ritenesse importanti, il che è tutto perfetto. Ma poi si schieravano con i docenti e i loro sindacati, credendo fossero “il popolo”, quando in realtà, ormai, dopo decenni di clientelismo, sono una lobby tanto quanto balneari e tassisti, solo ancora più insidiosa e immanicata con la politica.