In quanti sanno che ci sono due Leghe?
Quella che è al governo oggi e che si chiama Lega per Salvini Premier e quella che era al governo ieri, piena di debiti impropri, non vegeta ma viva, che si chiama Lega Nord per l’indipendenza della Padania.
La curva di Gauss dice che la Lega per Salvini premier ha smesso di salire un paio di anni fa, oggi si situa all’incirca sullo stesso valore che aveva la Lega Nord ai tempi di Bossi, con trend in discesa, avendo però allargato a tutto il territorio italiano la sua presenza. In pratica raddoppiando il così detto universo di riferimento.
L’esperimento era opportuno e la stragrande maggioranza del partito era concorde nel provarci.
Ma c’era un equivoco di fondo: secondo lo zoccolo storico dei militanti, quelli che avevano fatto per anni la gavetta sulle piazze e nei gazebo del Nord, si trattava di proporre a tutti gli italiani la ricetta leghista: federalismo, sussidiarietà, tutela del territorio, difesa del ceto medio produttivo del Nord e sua estensione al Centro Sud.
Il progetto, o forse la speranza, era quello di introdurre nella cultura del Sud il seme dell’impresa, delle attività produttive di ricchezza ma a rischio, dell’indebolimento dello Stato che sovvenziona il nulla facente, della lotta alle mafie che si sostituiscono a Stato, Regioni e agli infinti enti pubblici per efficienza e capacità di interpretare i bisogni immediati della gente piegandoli poi alle loro miserabili mire.
Insomma: non frenare e ingabbiare la spirito produttivo del Nord, ma introdurlo anche a Sud: una operazione che avrebbe finalmente permesso all’Italia di ridurre il differenziale Nord/Sud non solo in termini economici ma anche in termini politici/sociali e perfino culturali, con la nuova vocazione ad autodeterminarsi: un sogno, appunto!
Invece Salvini e i suoi lo interpretarono in altra maniera: la conquista dei voti, non della condivisione del progetto. I meridionali potevano restare tali, con le diversità culturali e i tic che da secoli li distinguono, bastava il voto. Per ottenere il quale bisognava cambiare il progetto, da Lega Nord a Lega “Italia” per Salvini premier.
Prima fu catturata la Destra che concorse a stemperare la parte liberale/liberista del partito e a moderare le esigenze federaliste o almeno autonomiste che diventavano palesemente ostative al nuovo progetto. Ne nacque la deriva sovranista.
Poi fu catturato l’interesse dei leader politici meridionali. A Sud non è come a Nord: il leader locale conta su un gruppo coeso di voti che si porta dietro indipendentemente dal partito su cui va ad approdare volta per volta. I voti seguono la persona, non seguono il progetto. Così i leader meridionali sono soprattutto soldati di ventura politicamente impeccabili, muniti di voti propri che mettono al servizio del partito che di volta in volta offre le migliori condizioni.
Soldati di ventura che condividono il potere ma non il progetto che neanche è materia di condivisione, naturalmente al netto delle declamazioni comiziali che suonano come campane al vento: non fregano niente a nessuno, non sono patti, neanche elettorali, sono solo flatus vocis.
Si levarono dai militanti nordici i primi mugugni, cui furono date risposte drastiche fin dall’inizio: una delle caratteristiche dei salviniani pare essere la poca dimestichezza con le opposizioni, cui pare aggiungersi l’horror vacui, il timore anche delle ombre: l’oppositore va esecutato da bambino, se cresce può dare dei fastidi.
Ne derivò la sostituzione rapida della classe dirigente: niente congressi, solo commissari nominati dalla nomenclatura dei nuovi o dei vecchi ”normalizzati”. Per dirla in termini giocosi, divenne classe digerente, nel senso che fu allevata dal mangime del potere: amici personali stretti e affidabili, possibilmente nulla tenenti e non eccessivamente pensanti: se cambiano orientamento tornano sul marciapiede da cui sono raccolti.
Si capisce: non tutti, solo la maggior parte degli ultimi arrivati. Gli altri, quelli buoni, che pur ci sono, si adeguarono e fecero carriera. Un po’ e un po’: a quelli bravi che si sono allineati gli incarichi impegnativi di governo (che gestiscono molto bene), agli altri gli incarichi istituzionali retribuiti nell’Europarlamento, nel Parlamento, nelle regioni, nei grandi comuni, nelle partecipate cui aggiungere gli incarichi interni al partito: fare numero all’esterno e sostenere la baracca all’interno.
Poi cominciò il declino: da oltre il 30 a meno del 9%. Ma nella divisione dei collegi uninominali fatta a luglio del 22 il peso della lega fu sovrastimato al 18/20% (benedetti sondaggi!) cosicché molti degli amici (ma solo loro) trovarono la allocazione promessa.
Oggi il disagio interno alla Lega per Salvini premier pare aumentare. Nonostante la ferocia dei cani da guardia, qualche congresso provinciale a Nord e nel Centro è stato vinto dalla opposizione. Rimedio? Grandi purghe: chi è percepito come disallineato al Capo e alle sue appendici territoriali è espulso: Tiramani in Piemonte, Pellati in Toscana, Zaffiri nelle Marche, Maturi in Alto Adige, Greco a Cosenza, Tomasi a Ferrara. Per citare solo alcuni degli ultimi che si aggiungono a quelli già allontanati.
Proseguendo la curva di Gauss a parità di condizioni si può prevedere che nel 2027 la Lega per Salvini premier avrà più candidati che voti.
Dove andranno a finire i voti in libera uscita da questa Lega?
Vale la pena che i leghisti della Lega Nord, espulsi o non espulsi, si attrezzino per intercettarli: sono roba loro, e meritano di trovare la difesa e la rappresentanza che la Lega Nord gli offriva e la Lega per Salvini Premier da tempo non gli offre più.