Proviamo a fare un punto da fine anno sulle vicende Lega partendo dai voti alla Lega per Salvini Premier alle ultime politiche:
Sud: 6,02% (media aritmetica): minimo nel collegio di Campania 1 col 2.88%, massimo in Basilicata col 8.98%. Vale la pena aggiungere, come elemento di definizione socio/culturale oltreché politica, che al minimo Lega in Campania 1 corrisponde il massimo per il M5S col 41,36% (!) e che il M5S nel Sud del Paese è il primo partito con il 26,65%.
Centro: 7.21%, appena 1,20 punti in più rispetto al Sud.
Nord: 13,87% con punta del 16.36 in Lombardia 3 e minimo 8.55% in Piemonte 1.
Media Italia: 8,9%.
Numeri lontani dall’epopea Europea, più vicini ai risultati ottenuti dalla vecchia Lega Nord (10,7% nel 1996 e 8,30% nel 2008) che però si fermava al “limen” Toscana/Umbria/Marche (metà Italia).
Dunque la “lunga marcia” di Salvini verso il Centro Sud del Paese rischia di risolversi in una bolla che costa alla Lega la rappresentanza del ceto produttivo del Nord Italia senza significativi apporti provenienti dal Centro / Sud.
Il trapianto non sembra riuscire: al Nord la pianta è stata sradicata e la talea del Centro Sud non cresce.
La partecipazione al governo Conte 1 è stata gravida di conseguenze negative per la Lega e per l’intera Italia.
Il voto favorevole della Lega al Reddito di cittadinanza ha garantito la sopravvivenza odierna del M5S nel suo bacino elettorale del Sud a dispetto di tutte le castronerie a livello di governo e di disastri nei territori invasi dalle “guardie gialle” dei grillini.
La Lega nulla ha da riscuotere: non ha ottenuto l’autonomia Lombardo/veneta che le avrebbe garantito la tenuta a Nord, non quota 100, non la flat tax, neanche la condivisione della politica migratoria sulla quale Salvini ha pagato personalmente: ha concesso senza contropartita.
Un errore di tattica politica che l’intero Paese paga a caro prezzo ma che i leghisti avvertono come una ferita.
Perché sanno chi paga l’iniquo Reddito, al di là di tutti i bla bla del buonismo ipocrita della sinistra e del cinismo grillino.
I leghisti sanno che il Reddito è pagato dai ceti produttivi del Nord e – in subordine – del Centro Italia: i 28 miliardi spesi a oggi e i 7 miliardi previsti nel 2023 fanno 35 miliardi: non li produce la Fata Morgana, li producono i lavoratori e i datori di lavoro del Centro Nord lavorando di più o pagando più tasse. I soldi non nascono come i funghi, i soldi vanno prodotti con il lavoro, gli investimenti e il rischio.
Dire che “i soldi li mette lo Stato” non ha alcun senso: i soldi li mettono i cittadini, lo Stato li spende, quasi sempre male.
L’inflazione, le bollette, gli aumenti anomali sono pesi aggiunti ai lavoratori e agli imprenditori del Nord e del Centro: non ce la fanno più a rimorchiare una parte di Italia che poltrisce, riescono a mala pena a mantenere se stessi e le loro famiglie.
Il Governo ha l’obbligo politico ma anche morale di distinguere fra chi ha davvero bisogno della solidarietà degli altri per campare e chi invece campa a scrocco.
Nessuno si sottrae alla solidarietà verso sfortunati ma meritevoli, anzi è fonte di letizia dare una goccia di felicità a chi vive nel dolore e nella povertà non per sua colpa.
Al contrario ne abbiamo le tasche piene di mantenere baldi giovanotti italici dopo che da anni i passati governi ci costringono a mantenere giovanotti altrettanto baldi provenienti irregolarmente da ogni parte del mondo: è venuta l’ora del “chi non lavora non mangia”?
Se poi i cittadini sono di serie A e di serie B accade che, al di là delle mistificazioni e delle fantasiose narrazioni, una parte di loro lavora di più per mantenere la parte che lavora di meno o non lavora affatto, né rischia, né investe.
Del resto questa regola è da tempo applicata in fabbrica: l’operaio fancazzista obbliga i suoi compagni di lavoro a lavorare di più per sopperire alla sua mancata prestazione. Il tutto con costante tutela dei sindacati che da sempre tutelano i cialtroni molto di più dei meritevoli.
Mi sembra palese l’immoralità del Reddito, facente parte di un insieme chiamato “solidarietà”.
Ma il cdx deve stare molto attento a demolire il castello dei grillini: dove andranno a finire i voti grillini a luglio quando il governo eliminerà una parte del voto di scambio fra M5S e nullafacenti attraverso il contratto del Reddito di cittadinanza?
Andranno per lo più alla sinistra che in nome della solidarietà continuerà a condannare alcuni di noi a lavorare anche per chi non ne ha voglia: la morte del PD, annunciata da molti indizi (fra cui la sperabile vittoria di Elly Schlein che condannerebbe il PD in via conclusiva), salvata dai profughi del Reddito grillino nella speranza di un salvagente da parte del resuscitato PD.
Intanto chi lavora e si industria è il borghese o l’alto proletariato che vota cdx e quindi va punito da parte dei nullafacenti e dal partito ZTL.
Per questi motivi esterni e per la gestione personalistica interna del partito, il pentolone leghista ribolle più di quello che appare in superficie.
I vecchi leghisti di tutta Italia stanno guardando con estremo interesse a quanto succede in Lombardia perché le elezioni regionali lombarde sono fra 60 giorni, perché la Lega è figlia della Lombardia sia quando si chiamava Lega Nord, sia quando si chiama Lega per Salvini Premier e perché il peso politico della Lombardia è determinante.
Visto da fuori il panorama Lega offre spunti nuovi e conferma luoghi vecchi:
– All’interno della Lega per Salvini premier il “Comitato del nord” contende a Salvini le segreterie provinciali lombarde, peraltro con risultati insperati in alcune provincie storiche come Bergamo e Brescia. I “vecchi” leghisti lombardi sembrano rispondere all’appello che Bossi ha lanciato e che Grimoldi e Ciocca stanno gestendo.
– Fa notizia, ma fa anche politica, l’abbandono da parte di 4 consiglieri regionali lombardi della Lega per Salvini premier, passati al Movimento autonomista lombardo, quello auspicato da Fava e compagni. Ma con la complicanza che una parte degli autonomisti guarda a Moratti mentre i 4 offrono sostegno a Fontana però in contrasto con i divieti di Salvini: neanche il più complicato romanzo di appendice riesce ad avere sfaccettature e complessità così diffuse.
– Le truppe di Salvini si aggiudicano alcuni capisaldi provinciali (per esempio Varese e Pavia) ma con maggioranze risicate.
– I movimenti lombardi però non sono esportabili fuori dalla Lombardia se non cambiando messaggi, prospettive, impegni e strategie.
Fuori dalla Lombardia paiono delinearsi atteggiamenti differenti.
In Friuli Massimiliano Fedriga si sta attrezzando come da normativa Zaia: contrasta l’invadenza salviniana con la lista del Presidente contando di duplicare il risultato di Zaia e mettersi al riparo per i prossimi 5 anni. Fedriga è fra i pochi che potrebbero svolgere ruoli di leadership federale.
Il Veneto è percorso da fremiti: Padova e Verona sono andati a Salvini anche se per un pelo. Zaia sostiene il “bulldog” Marcato ma non più di tanto: Zaia rimane la sfinge della Lega ma anche fra i pochi in grado di aspirare al vertice federale della Lega (comunque chiamata).
Ma la “base” sanguigna e pugnace dei leghisti veneti scalpita e rumoreggia sia pro sia contro. Zaia molto più di Salvini riesce a conservare un po’ della rappresentanza territoriale anche se il grosso è passato a FdI con una incongruenza notevole: dalla Lega, partito federalista o almeno autonomista, a FdI, partito nazionalista e centralista. Alla fine aveva ragione Dante: più che l’amor poté il digiuno.
Dalle restanti regioni del Nord arriva un silenzio difficile da interpretare: Piemonte e Liguria hanno segretari nazionali (regionali) prestigiosi e con buona presa sul territorio e sul partito (Rixi in Liguria e Molinari in Piemonte). In Emilia Matteo Rancan sembra il custode debole del salvinismo.
La terra di mezzo è interdetta: subisce gli effetti deleteri del salvinismo familista e amicale, vede vanificati sedimenti che riteneva consolidati, soffre dimissioni e abbandoni di eletti che se ne vanno portando con sé amici, parenti ed estimatori, registra cali di iscritti del 75% e immobilismo politico e comunicativo: la Lega è scomparsa dalle piazze e dai mercati. Sembra di vivere l’aria di attesa del Deserto dei tartari.
Discorso a parte le regioni dal Lazio in giù: qui le radici sono più tenui, il salvinismo è più vicino alla sensibilità e alla modalità politica del meridione, i capitani di ventura e le loro armate godono la sovra rappresentanza ottenuta dalla Lega Salvini nei collegi uninominali armi ai piedi. Qui lo tsunami si abbatterà a fine legislatura.
Mentre nel resto del Paese è probabile che il confronto si indurisca e provochi guerriglie prima delle elezioni regionali e guerre aperte se tali elezioni andranno male. Ci aspetta un 2023 pieno di incertezze economiche, politiche…. e leghiste.