Iscritti e simpatizzanti della Lega hanno attribuito a Matteo Salvini l’intero merito dei grandi, innegabili, successi elettorali ottenuti nel corso della sua segreteria fino alle europee del 2020: sembrava una ascesa inarrestabile, una galoppata alla Cosacca verso gli ambiti vertici del governo.
I mezzi di comunicazione, con maggiore o minore malizia, hanno fatto eco: chi vinceva era Salvini, mica la Lega.
Per lo stesso motivo e secondo la legge del “contrappasso per similianza, non possono che essere attribuiti per intero al solo Matteo Salvini” il declino odierno di voti e di consenso.
Anzi oggi il problema è addirittura la rappresentanza: chi rappresenta la Lega? Quali progetti fermi offre ai gruppi sociali, economici e culturali del Paese? Tutto e niente, le ondate e le risacche, gli interventi neokeynesiani dello Stato nell’economia e la libertà di concorrenza e di impresa, no vax e non green pass sulle piazze e il voto favorevole a entrambe le misure nel CDM ma soprattutto dei Presidenti leghisti di Regione, il federalismo e il sovranismo senza transizioni, la tutela dei lavoratori (quota 100) e il rispetto delle regole di bilancio. La faccio breve: un florilegio di fiori di campo e di sofisticate orchidee. Ognuno prende il fiore che vuole o, a quanto pare, lascia tutti i fiori nel mazzo e cerca altri fiorai.
I romani avevano la buona abitudine di mettere uno schiavo sul carro del generale portato in trionfo nei Fori della città dopo grandi vittorie. Lo schiavo sussurrava al generale il famoso ammonimento: te hominem esse memento.
Per quanto ne so questo è l’unico tipo di schiavo che non esiste nella Lega Salvini Premier, è un ruolo non previsto nell’organigramma, anzi palesemente estraneo al suo stesso spirito.
La sua mancanza, in senso lato, ha suggerito a Salvini la personalizzazione del partito, operazione del tutto lecita e largamente usata, fino all’abuso, da gran parte dei leader e dei semi leader antichi e moderni.
Così nasce anche esteticamente, come elemento di comunicazione immediata e di progetto chiaro, la Lega per Salvini premier al posto della obsoleta Lega Nord per l’Indipendenza della Padania (peraltro appesantita da 49 milioni di debiti, come da sentenza del giudice genovese).
Per inciso, si aprirebbe un bel capitolo se si riuscisse a scoperchiare il pentolone delle sentenze “politiche” che erano e in gran parte rimangono moneta corrente della prassi politico/giudiziaria italica.
E comunque la Lega per Salvini premier lascerebbe intendere che la Lega esiste col solo fine del premierato (peraltro figura istituzionale inesistente in Italia, ma pazienza!) del suo Segretario. Che succede se il premierato non arriva, come sembra non arrivare? Che succede se Salvini si ritira in un eremo umbro, o nel deserto o addirittura in Tibet, previo consenso di Xi Jin Ping, beninteso? Che succede se Salvini, cui auguro lunga e felice vita, resta sotto un treno?
Il problema è stato espulso dall’ordine del giorno, mai sentite opinioni in argomento, anche se non si tratta di puro nominalismo, ma addirittura dell’unico progetto che oggi impegna la Lega (in senso lato) e le truppe, ahimè sempre più residuali, che continuano ad aderirvi.
La personalizzazione di un partito porta con sé successi e onori ma anche rischi e successivi oneri. e qui torniamo all’inizio del discorso: per la legge del “contrappasso per similianza”: a Salvini onori per il successo, ma oneri per il declino: tutto Salvini, solo Salvini nella buona e nella cattiva sorte.
È noto l’aforisma aziendale, trasferito poi allo sport, “Non c’è leader senza squadra”. La Lega per Salvini premier dispone di una “squadra”? ognuno la pensi come vuole. Ma se per squadra si intende un gruppo di uomini e donne competenti che lavorano a un progetto condiviso, non si può che concludere che oggi tutti lavorano per il progetto unico: Salvini premier, un unicum orchestrale i cui componenti, fino a quello residuale che suona il gong, sono selezionati non tanto perché virtuosi, quanto invece perché hanno imparato a memoria la partitura e forse è l’unica musica che sanno suonare.
Se la partitura cambia temo che la “squadra” non ci capisca più niente e le dissonanze comportino fischi a non finire da parte dell’intero uditorio.
Le competenze non derivano dalle nomine ma si guadagnano nei banchi di scuola e poi nella vita: studio e lavoro.
A quel punto, che purtroppo non pare così remoto, resteranno le macerie di un partito da ricostruire e ripresentare agli elettori partendo da programmi di base magari aggiornati, ma soprattutto con finalità diverse, almeno un po’ più ampie del premierato del Segretario. C’è un “esercito” che aspetta un capo oppure prima o poi prenderà il cappello e lo appenderà altrove, a meno che Salvini cambi radicalmente lo spartito: quasi impossibile.