Io, per votare, mi informo. Non amo votare per mera ideologia. Non sono nemmeno di quelli che votano sempre convintamente, anzi, spesso ho votato per strategia.
Così, mi sono messo a guardare le liste di Sala, per le elezioni comunali. E mi ha stupito l’ipertrofia elettorale! Ma non mi ha solo stupito, mi ha anche allarmato e condizionato nelle mie scelte.
Perché, paradossalmente, lo spettro politico offerto da Sala è più ampio di quello che offre la politica normalmente. Se ci pensate, ormai, in Italia lo spettro politico “reale” offre una destra conservatrice e una sinistra conservatrice anche lei, mentre solo Sala parte dai Riformisti e dai Radicali per arrivare alle listine di sinistra come Milano in Salute e Milano Unita, passando per la lista civica (di varie vedute) e il PD.
Onestamente io l’amministrazione Sala non l’ho ritenuta malvagia, per quanto la gestione della viabilità sia stata molto questionabile, per dirla educatamente. Ma la presenza di quelle microliste mi ha spaventato a tal punto che, visti i sondaggi, ho scelto di dare la mia preferenza ad un altro candidato, pur mantenendo la preferenza di lista all’interno delle liste a sostegno di Sala.
Vero, il risultato era già scritto, quindi “proteste” del genere contano fino a un certo punto. Ma in un’elezione più competitiva spaventare i moderati con liste estremiste può essere un problema: chi vuole votare i chiusuristi radicali per cui dovremmo tutti essere statali così che i perfidi capitalisti non siano in grado di mettere becco sulla gestione pubblica?
Tali liste hanno preso circa il 3% e se non fossero state in coalizione con Sala, probabilmente, avrebbero preso meno. Al contempo, la loro accettazione nel centrosinistra lombardo le legittima ed è un vilipendio alla storia della sinistra della Lombardia.
Da quando esiste una politica in questo territorio, infatti, la Lombardia è stata terra produttiva. Qui la sinistra era Turati che parlava di ciò che piagava il Meridione in termini non differenti da quelli che usiamo noi, beccandosi tra l’altro le medesime accuse di razzismo, ma anche il movimento sindacale che, poco prima della prima guerra mondiale, scendeva in piazza chiedendo la secessione – nemmeno l’autonomia, proprio la secessione – della Lombardia.
Si dà il caso che gli avi di quelli che oggi parlano di “secessione dei ricchi” non si vergognavano di essere produttivi e avrebbero risposto con un chiaro “aeh, ‘ndo che l’è el problema” all’accusa dei nipoti.
Qualcuno, come Letta, inneggia all’allargamento delle liste come unico modo per vincere e “fermare il populismo”. Ciò funzionerà sicuramente nella sinistra romana, ormai ridotta ad accozzaglia che vive di “altrimenti torna il fascismo” e ha come unica idea il farsi eleggere e poi vediamo come ci spartiamo le cadreghe e decidiamo come spartirci redditi, mancette e simili, dato che una lista vuol dire voti in più e, finché pagano gli altri, le clientele non finiscono mai.
Ma la sinistra lombarda, ahiloro, rappresenta proprio chi paga. E così, qui, la sinistra vince senza liste allargate e vincerebbe anche senza le microliste di sinistra. Anzi, in un’elezione competitiva, dove il centrodestra candida gente votabile, potrebbero spaventare i moderati e fare più male che bene.
La differenza tra una sinistra produttiva e una sinistra parassitaria è ciò che da anni divide la Lombardia dalla politica romana ed è una delle varie divisioni insanabili tra Roma e Milano, e prima la nostra sinistra si renderà conto che non può dipendere dai rappresentanti della “mano d’opera cerebrale disoccupata, inadatta a qualunque utile servizio” per esistere, prima potrebbe vincere la Regione ed essere competitiva ovunque, anche se la destra diventa un qualcosa di decente e non una rappresentazione teatrale “en travestì” del mercato di Cesano Boscone.
Perché noi, una sinistra che ci vorrebbe tutti statali pronti a vendere il voto per un posto in graduatoria, “la vœurom no”. E, permettetemi di citare il Sommo Poeta, “per el stomegh d’on bon milanes ghe va robba del noster paes”.
Ma, purtroppo, la politica è un mercato, e finché non ci sarà abbastanza concorrenza da spingere la sinistra al cambiamento, saremo sempre in mano a sinistre di Schroedinger, un po’ turatiane e un po’ “più pelo per tutti”.