Immaginate di spedire un libro sul BDSM e di sapere che è stato distrutto da un postino molto cattolico che lo ritiene immorale. O di aver acquistato la bandiera LGBT su Amazon che viene buttata dal fattorino perché lui vota Adinolfi. O di aver ordinato un manifesto sulla sanità pubblica di Gino Strada che vi viene buttato dal portinaio perché lui è per il modello americano e ritiene Strada un comunista impenitente.
Vi darebbe fastidio, no? E, allora, perché sostenete il rider che ha distrutto un bigliettino che non gli piaceva spedito senza infrangere alcuna legge tra due cittadini consenzienti?
Lo sapevate che proprio ai tempi del fascismo esisteva un organo che faceva questa cosa, ossia controllare che il contenuto della posta fosse ideologicamente adatto? E che proprio per questo la resistenza che scrisse la costituzione diede una grande importanza al segreto epistolare?
E ora arriva un tizio in bicicletta che di erge a costituzione, legge, tribunale, polizia postale e fattorino che, proclamandosi successore di quelli che in bicicletta andavano a combattere proprio per il segreto epistolare, ci caga sopra allegramente, spingendo parlamentari della Repubblica e giornalisti per cui solitamente chi non rispetta le regole è peggio di Hitler alla più bieca apologia di reato.
Poi vi chiedete perché l’antifascismo è divisivo. Perché il vero antifascista non avrebbe messo il naso nella corrispondenza altrui. E se l’avesse adocchiata per errore avrebbe fatto finta di nulla. Ma l’azione di un vero antifascista, siccome non crea il caso, passa inosservata…
Ecco, mia nonna – credo a differenza di quelle di molti paladini dell’antifascismo – ha vissuto sotto il fascismo e ha fatto in tempo a raccontarmi come si viveva.
La risposta era non troppo bene, ma non tanto per le condizioni di vita, che prima dell’arrivo dei supermercati e delle comodità domestiche erano un po’ scarse in tutto il mondo, ma per la libertà inesistente. Si doveva aver paura a parlare, perché qualcuno avrebbe potuto riportarlo al regime. Il proprio vicino di casa poteva essere un delatore, per scrivere le lettere bisognava inventarsi trucchetti per eludere la censura e si poteva avere paura anche solo indossando una camicia del colore sbagliato.
Certo, mi diceva, c’era più sicurezza, ma ne valeva la pena? No, secondo lei, che infatti votò per la Repubblica.
Eppure, nonostante ciò, ricordava con nostalgia il periodo, il sabato fascista, le canzoni con nostalgia e spesso le cantava.
Certo, a differenza dei nostalgici odierni quella era la sua infanzia, mentre per i nostalgici è un periodo che hanno studiato poco e capito ancora meno.
Ma, in tutta sincerità, a me i neofascisti fanno più che altro ridere. Si trovano li, fanno i loro saluti romani, dicono tre o quattro cazzate, inneggiano al ricolonizzare la Libia ma per il resto sono abbastanza esclusi dalla società, tanto da dover fondare i loro micropartiti dell’1%, le cui proposte spesso coincidono tra l’altro con quelle dei partiti di sinistra da LeU in avanti, ossia Europa delle nazioni e non delle banche, abolizione del capitalismo, sanità pubblica e statale, nazionalizzazione delle infrastrutture e così via, con cui fare brutte figure ogni 5 anni.
Può darmi fastidio, certamente, vedere un saluto romano. Ma, in tutta franchezza, non mi crea alcun danno.
L’idea invece di avere sceriffi dell’antifascismo autodichiarati che si curano di fare il visto ideologico alla corrispondenza, come ai tempi del Ventennio, mi fa abbastanza paura.