“Troubles in paradise” per Luca Zaia? Sembrerebbe proprio di si. Dopo i fasti delle elezioni regionali dello scorso settembre, che lo hanno visto riconfermato per la terza volta presidente del Veneto con il 76,79% dei consensi e hanno fatto aggiornare il modo di dire “maggioranza Bulgara” in “maggioranza Veneta”, il governatore che ha salvato la sua regione dalla prima ondata della pandemia sta avendo qualche difficoltà.
La seconda ondata di Covid ha travolto il Veneto esattamente come il resto dell’Italia e su Zaia sono piovute le critiche di chi lo ha accusato di aver marginalizzato il professor Crisanti per attribuirsi i meriti della strategia di contenimento del Covid la quale era invece farina del sacco dell’ordinario di microbiologia all’università di Padova.
Poi ci si è messo il pasticciaccio brutto dell’acquisto diretto dei vaccini da parte della regione, idea buttata sul tavolo con l’intento di sveltire il ritmo delle vaccinazioni su base nazionale, che in tutta Europa segnano il passo, e naufragata ingloriosamente tra frenate imposte da Roma e procacciatori di vaccini rivelatisi più simili al venditore della fontana di Trevi magistralmente interpretato dal grande Totò.
Ci si è messo poi il governo Draghi, nella cui formazione la componente veneta della Lega ha pesato come una piuma, confermando il dato storico che nella Lega il Veneto piglia i voti e la Lombardia gli incarichi. Colpa dell’inesperienza del neo commissario Regionale, ha detto l’ex segretario della Liga Da Re ora Europarlamentare. Ben strano allora che la Liga Veneta accetti senza battere ciglia con il consueto richiamo alla fedeltà al partito di avere come commissario un ragazzetto inesperto in un ruolo di tale responsabilità. Come mandare a fare la gara di Indianapolis un neopatentato, farlo schiantare sul muro e dire “vabbè, non sapeva guidare”. Surrealità.
A chiudere il cerchio delle difficoltà ha contribuito lo stesso Doge con il suo atteggiamento ondivago relativo al tema delle chiusure delle scuole. Preoccupato dall’innalzamento dei contagi, e individuando le scuole superiori riaperte in presenza e solo al 75% all’inizio di febbraio come principale vettore di contagio, sta cercando in ogni modo di sfilarsi dall’ingrato compito di dover prendere una decisione impopolare (e dannosa per la preparazione degli studenti) come quella del ritorno alla didattica a distanza, scaricandola al governo di Roma e agli scienziati.
Va detta chiaramente una cosa, questa manfrina sul “Apro io, chiudi tu” è indegna di un governatore che si vuol far passare come campione dell’autonomismo, salvo poi rimpallare a Roma le decisioni impopolari. In questo senso va letta la surreale proposta di una zona arancione nazionale evocata qualche giorno fa proprio per iniziativa dei governatori più impegnati (a parole) sul fronte autonomista, avente come unico fine quello di mettere sullo stesso piano tutte le regioni, in modo da evitare impopolari confronti tra diverse colorazioni, per poter rimpallare al governo le responsabilità e chiamarsene fuori. “Autonomia” vuol dire “fare meglio di tutti, soprattutto dello Stato”, non nascondersi sotto le sue sottane per il timore di far appassire i proprio consensi.
L’appeal di Zaia si sta forse consumando? Potrebbe anche essere, del resto dopo essersi inerpicato su vette di consenso così elevate era francamente difficile pensare che non ci sarebbero stati contraccolpi. Se dopo i trionfi elettorali di pochi mesi fa ci stavamo a domandare se fosse plausibile aspettarci un futuro di leader nazionale per Zaia, ora il punto sembra essere quello di iniziare a pensare al “dopo Zaia”. Velocità della politica 2.0. Salvini con la sua sterzata europeista e istituzionale pare avergli sottratto il terreno sotto i piedi e terminato il mandato in corso il doge dovrà reinventarsi. Più di 4 anni in politica sono ere geologiche, basti pensare a come è cambiato il panorama dallo scorso autunno, ma quel che è certo è che il tema delle autonomie va ripensato a fondo, con o senza Zaia.
La via Leghista sembra un vicolo cieco, il PD regionale continua pervicacemente ad essere completamente scollegato dal territorio e il “Partito dei Veneti” che alle scorse elezioni regionali era sceso in campo in solitaria e con grandi aspettative è stato superato dalla lista “no vax” V3. Solo briciole per l’ex PD Simonetta Rubinato. Quali sbocchi restano per l’autonomismo veneto e, di riflesso, per quello lombardo? Resta il “metodo Zaia”, che gli osservatori veneti hanno imparato bene a conoscere.
Grande presenza mediatica, grandi proclami e pochi fatti concreti. In una parola: Zaia ha davvero pensato di attivare una linea parallela di fornitura a quella UE per i vaccini, oppure la sua è stata l’ultima applicazione in ordine di tempo del suo collaudatissimo metodo? Mentre il Veneto cerca una risposta, forse dovrebbe cercare anche una via che conduca al “Dopo Zaia”.
P.S., gli ossessionati dalle dimensioni: Israele, meno abitanti della Lombardia, entro marzo vaccinerà con almeno un dose tutta la popolazione.