Le lamentele delle Regioni e della società produttiva sul modello a zone non penso siano legate tanto al concetto stesso di zone quanto al fatto che ad esse corrispondano chiusure, oltre a un possibile cambio di zona ogni settimana, che rende impossibile qualsiasi programmazione necessaria per lavorare in serenità.
Di per sé, chiariamo, l’idea che a territori differenti corrispondano misure differenti ha senso: non è una grande idea che a un picco di contagi in Piemonte corrispondano più restrizioni in Puglia. Parimenti, non ha molto senso che un picco di contagi a Foggia blocchi Lecce, ma l’è mej vergot che nagot.
Tuttavia, come dicevo, la cosa che crea il problema è l’incertezza: è indegno di un paese civile prendere prenotazioni, fare ordini e poi vedersi chiusi su ordine del CTS.
E chi dice “le tempistiche le fa il virus e non i tecnici” dovrebbe uscire dalla propria bolla: il virus è un problema ma lo sono anche licenziamenti, fallimenti economici e suicidi per la crisi.
Il modello a zone andrebbe rivisto nell’idea “ad una determinata zona corrispondono determinate chiusure”, passando all’idea che “ad una determinata zona corrispondono determinate misure di contenimento”.
Pensatela così: manteniamo le tre zone (io le chiamerei con dei numeri, ma van bene anche i colori).
In zona gialla corrispondono le minime misure di contenimento: mascherina nei negozi e dove non c’è distanziamento, mezzi pubblici al 50% di capacità, negozi aperti tutti e bar e ristoranti senza limite d’orario, magari anche riapertura di cinema e teatri a chi ha un test negativo.
Ma se i contagi aumentassero? Si passa in zona arancione… chiusure? No! Ma aumento del distanziamento e alcune misure ulteriori. Obbligo di FFP-2 nei luoghi chiusi, maggiore contingentamento dei locali, divieto di vendita di alcol dopo le 20, contingentamento di alcune vie a rischio e introduzione parziale di didattica e lavoro a distanza per la PA.
E in zona rossa? Nemmeno lì chiusure generalizzate ma un contingentamento più duro, massimo due persone per tavolo al ristorante (esclusi nuclei familiari), divieto di consumare bevande alcoliche in pubblico, maggiori limiti agli assembramenti e, possibilità per i sindaci di chiudere determinate attività se lo richiede la situazione epidemiologica, con ristori chiari e precisi.
Nessuna misura inutile alla coprifuoco, da sostituire con un adeguato numero di consigli sul come fare le cose bene e in modo sicuro (potete copiarli dai siti del governo norvegese, se proprio non sapete scriverli).
In tal modo si combatterebbe il virus? Certamente!
Ma si eviterebbe anche di obbligare chi lavora a continui tira e molla, sostituiti semplicemente da misure facilmente applicabili, reversibili e che non distruggono l’impresa.