Nota: questo articolo è stato anche pubblicato su Lombardia Incoeu.
Domani, 15 gennaio 2021, vari ristoratori hanno deciso che apriranno, fregandosene delle limitazioni del governo.
E penso facciano bene. È comodo nascondersi dietro a frasi come “il nemico è il virus, non le misure per combatterlo”, quando in realtà siamo sia tra i più colpiti dal virus che dalla crisi economica.
Ed è altrettanto comodo dire “eh, ma in Svizzera chiudono, in Germania chiudono”: avete mai visto i conti pubblici elvetici e tedeschi? Loro, con moderazione, possono chiudere senza mandare la loro economia – e quindi le vite di milioni di persone – a schiantarsi contro un muro.
Loro, a differenza dell’Italia, non hanno passato gli ultimi anni a sprecar via soldi su soldi per pagare più forestali del Canada, finanziare sussidi inutili, comperare voti riempiendoci di dipendenti pubblici inutili, così da trovarsi con tasse scandinave ma servizi indecenti.
Se chiudono possono, con qualche difficoltà, pagare ristori facendo debito e tornare a un buon livello in qualche anno.
Ma il debito è come una medicina: darla a una persona altrimenti sana che ha una condizione è bene, darla a uno col fegato rotto, i reni mezzi andati e magari con due cancri è una buona ricetta per morire.
In Italia è normale far crescere il debito ogni anno per pagare l’ordinaria gestione, figuriamoci se riusciamo a trovare una classe politica capace di ridurre la spesa, portare investimenti nel Paese e rendere più facile lavorare, così da pagare il debito contratto.
Paradossalmente, anche se i ristori fossero dignitosi, le misure per ripagare il debito sarebbero così dure da uccidere coloro che son stati in grado di reggere alla pandemia. Ma è un falso problema, dato che bisognerà sia vendere il sangue per pagare i debiti sia trovare qualcuno che lo abbia ancora dopo la crisi.
E cosa fa nel mentre il governo? Viene a spegnere il fuoco con un lanciafiamme pieno di benzina.
Vogliono vietare ai bar di fare l’asporto dopo le 18, perché non riescono a controllare i pochi bar dove si formano assembramenti. Colpirne cento per educarne uno. E, intanto, se bisogna far la passerella per il premier vediamo scene del genere:
Pensate, miei cari lettori, se in mezzo non vi fosse stato Conte: vedremmo i vari Tosa dire che è colpa dei cittadini irresponsabili, i vari Scanzi mettere l’immagine con allegata una lettera strappalacrime mandata da un soccorritore e i vari Del Prete che gridano pretendendo un lockdown per punizione. E invece, tutti zitti.
Nel mentre, però, la curva cresce. No, non quella del virus – in verità abbastanza stabile – quella dei vaccini! Ieri la Lombardia ha superato i 100’000 vaccinati e l’1% della popolazione.
E Arcuri, quello che per Sentinelli ed estremisti di sinistra assortiti avrebbe dovuto gestire la nostra sanità commissariata, ci ha chiesto di far piano, perché non può darci abbastanza vaccini da avere una riserva.
In un Paese disastrato, guidato da gente che se va bene ha sempre lavorato in settori garantiti dallo Stato e se va male non ha mai lavorato (come Speranza) c’è bisogno di qualcuno che ricordi l’importanza per una società di coloro che creano benessere, dell’impossibilità di spendere e spandere senza alcuna considerazione per il dopo-emergenza, per il futuro di milioni di lavoratori, studenti e attività.
E quel qualcuno, domani, saranno i ristoratori, che faranno ciò che in Italia è roba rara: lavorare e creare ricchezza.
Bisogna però condannare senza dubbi i negazionisti e i no mask vari che, per forza di cose, si uniranno. Noi vogliamo il meglio per il futuro e politiche che tengano in conto la nostra situazione economica difficile e problematica, per evitare che la medicina sia peggiore del male, loro fingono non si sia un male.
Dunque, per concludere: viva i ristoranti e i bar che domani restano aperti, nel rispetto del distanziamento, con le mascherine e tutte le misure di sicurezza che ormai tutti hanno. Lavorare in sicurezza è un diritto di tutti, in un Paese che si sta fottendo il futuro perché guidato da una classe politica senza cultura del lavoro.