Una bellissima favola che ci raccontiamo in Italia è che qui abbiamo il primato della salute sull’economia, siamo disposti a tutto per salvaguardare la salute.
Ma mentiamo. Perché lo sappiamo bene che in “questo paese cattolico” non ce ne frega niente della salute.
Ma solo della vita.
E c’è differenza, visto che la definizione OMS di salute è:
Condizione di benessere fisico e psichico dovuta a uno stato di perfetta funzionalità dell’organismo.
C’è.
All’Italia non frega niente della salute ma solo della vita. Abbiamo visto numerosi casi eclatanti di persone costrette a letto, senza potersi muovere e che volevano morire a cui è stato detto no.
“La vita è un bene indisponibile”, leggasi “appartiene allo Stato”.
Il lockdown all’italiana è forse una misura che tutela la vita, anche se i risultati sono molto dubbi, ma sicuramente mette la salute – nel senso generale – in secondo piano.
Potremmo parlare sia di come vengano praticamente ignorati tutti quelli con patologie, croniche o acute, che non siano COVID.
Ma, soprattutto, della salute di tutti noi. Giovani o anziani, essere chiusi in casa fa male al fisico e alla psiche, specie nel modo in cui l’avevamo fatto in Italia, dove “stare a casa” non era un sinonimo di “evitare la socialità” ma un vero e proprio diktat, con una criminalizzazione di chi svolgeva attività fisica e simili.
Si potrebbe, com’è accaduto praticamente in ogni altro Stato, invitare la popolazione a uscire di casa per fare esercizio fisico, riducendo quello che è lo stress immediato e favorendo anche una pratica buona per la salute.
Buona fortuna però a proporlo nel Paese del “divieto di passeggiata” e dei droni nei parchi, dove il farsi una camminata non veniva visto come un salutare atto da incentivare ma come un crimine di lesa maestà verso “i medici eroi” (si torna sempre al punto dell’articolo… La vita conta così tanto che la salute di 60 milioni di persone può andare a farsi benedire).
Ma poniamo anche di avere politici lungimiranti che ci permettono, com’è umano lei megapresidente, di passeggiare senza l’ansia che il vigile Vittorino, ben addestrato da Barbara D’Urso, ci sanzioni per non essere restati abbastanza akkasa.
Ebbene, se sicuramente sarebbe cosa gradita non dover temere lo stato e la sua longa manus nel nostro portafogli, non toglierebbe il fatto che non poche persone avrebbero molti dubbi sul proprio futuro economico, con conseguenti problemi sulla salute psichica.
Perché? Siamo realisti, il lockdown italiano è stato probabilmente il più duro d’Europa, proprio in virtù dell’assoluta tutela della vita come priorità, portandosi dietro varie conseguenze economiche sgradite.
Ricaderci vorrebbe dire condannare milioni di persone a periodi di disoccupazione, durissime privazioni e, specie tra i più giovani che verrebbero condannati in larga parte ad un futuro di altissime tasse per ripagare le spese fatte in questo periodo, la scelta sarà una sola: emigrare o fare una vita di merda.
L’aver avuto questo lockdown “della vita”, durissimo e senza considerazione della salute, che passa dall’economia e dalla serenità, è il peccato originale che rischia di rendere qualsiasi toppa peggiore del buco.
Altri Paesi, come la Germania, hanno avuto chiusure ben più ponderate e ora possono permettersi di ripeterle, senza che ciò impatti in modo drammatico sul proprio tessuto sociale. Sarà che in Germania hanno il presidente del Bundestag che può permettersi di dire che “la dignità umana viene prima della tutela della vita” come principio generale senza venire sbranato come accadrebbe – ed è accaduto – qui. E questo presidente è Schäuble, anziano a rischio, non un giovinastro che se ne frega.
Ma l’Italia, se non vuole condannarsi ad una morte indegna, potrà al massimo puntare ad un lockdown alla tedesca, e pure lì dovrà fare non pochi sforzi per lasciare un futuro a migliaia di lavoratori della ristorazione senza demolire nel complesso quello della propria gioventù.
Qualsiasi altra scelta più restrittiva, come le circensi autocertificazioni o chiusure di settori produttivi, porteranno allo stremo sia il tessuto economico – già ampiamente danneggiato – sia quello sociale – sempre più diviso tra chi senza lavoro non mangia e quindi pretende di lavorare e tra chi, invece, ha un salario garantito e brama un nuovo lockdown “salvavita” come una sorta di ferie forzate.
Cosa fare allora? Accettare di non poterci permettere la morte di un Paese per non permettere la morte di qualcuno, agire per tutelare i più deboli – abbiamo milioni di percettori del Reddito di Cittadinanza, possiamo organizzarci un servizio civile con le contropalline – portando loro la spesa a domicilio e facendo loro le commissioni essenziali, così che se escono lo fanno a loro rischio e pericolo, mantenere le regole di distanziamento sociale e uso delle mascherine che ben conosciamo e, in alcune zone, agire incisivamente rendendo obbligatoria didattica a distanza, lavoro a casa e tracciamento intensivo in bar, ristoranti, supermercati e altri luoghi pubblici.
Sarebbe bellissimo non fare scelte, ma purtroppo non possiamo tornare a marzo e fare un lockdown migliore. E quindi a noi la scelta: “o il futuro o la vita!”. E, ahinoi, ai posteri, l’ardua sentenza.