“Un popolo buono, ma invincibile” definivano noi lombardi nei manifesti della Lega che ormai tanti, anche storicamente antileghisti, rimpiangono e comprendono.
Durante il lockdown siamo stati in silenzio con aiuti minimi, degni di uno Stato guardiano notturno ma con tasse da socioliberalismo scandinavo, mentre altri altrove bloccavano i supermercati e scappavano senza pagare.
Ma ora non possiamo più tollerare. Non possiamo tollerare che per l’inazione del governo ora si debbano fermare i nostri professionisti, le nostre fabbriche, i nostri ristoratori, milioni di lavoratori che per un burocrate romano che non ha mai prodotto reddito un giorno in vita sua non essenziali ma che, per la loro famiglia e comunità, lo sono assolutamente.
La rivolta di Napoli è sicuramente un “memento mori” alla classe politica, che ricorda due cose:
1) I cittadini non si assumeranno tutta la colpa delle mancanze del governo e non obbediranno acriticamente, non siamo a marzo dove le misure restrittive erano ampiamente condivide e il rischio di rivolte, anche in altre città, è alto
2) se non fare il lockdown vuol dire non dare un letto ad alcuni ammalati farlo vuol dire non dare il pane ad alcune persone, è urgente bilanciare gli interessi di salute con quelli economici.
Rispettiamo chiaramente il grido d’aiuto di chi in Campania ha la costanza e il coraggio di produrre ricchezza ma ci chiediamo anche: quanti erano lì in strada per quello e quanti volevano solo spaccare tutto, menare le mani e reclamare il diritto a un più sostanzioso sussidio?
Ecco, noi lombardi reclamiamo invece il diritto al lavoro. Al lavoro in modo sicuro, nel rispetto delle distanze, delle disposizioni di sicurezza, ma al lavoro. Non vogliamo che un burocrate decida se siamo o no essenziali e se abbiamo o meno il diritto di mangiare e magari di sentirci insultare per osare produrre e usare ricchezza, sentendoci dire che andando al ristorante “sarà solo grazie a gente come voi che servirà il lockdown” mentre la nostra politica invece di pensare a migliorare la sanità pensava al bonus succhino alla pera per passare l’estate confortevolmente.
Toccate ai lombardi il lavoro e vedrete delle nuove Cinque Giornate, non nelle piazze, non con le armi, ma nei negozi, nei centri commerciali, nelle fabbriche e con ciò che, infine, è a noi più caro: il lavoro.