Con la candidatura leghista di Susanna Ceccardi alla presidenza della Toscana è tornata in voga una sua vecchia citazione in cui dice che, per lei, è giusto pagare meno i medici calabresi.
Ovviamente con commenti ultrapolemici: “ecco la Lega! Razzismo! Fassismo!”.
Eppure la Ceccardi ha ragione. Ma sbaglia parola: i medici calabresi “potrebbero” essere pagati meno di quelli lombardi o umbri.
Alla fine, sia chiaro: nessuno si scandalizza che un medico italiano sia pagato meno di un medico tedesco così come nessuno si scandalizza che, rispetto ai medici europei, quelli statunitensi navighino nell’oro.
Ma perché dico “potrebbero”. Il problema è uno: contrattazione nazionale. E la Ceccardi, che ha militato nel Tea Party, penso lo sappia.
In Italia, con una costituzione che ricorda più quella della DDR che quella di un Paese liberaldemocratico, l’idea che due cittadini possano avere stipendi diversi a parità di mansione è uno scandalo.
Così, in sede di contrattazione nazionale, si raggiungono stipendi “intermedi” tra quelli che il mercato pagherebbe a Milano e a Napoli.
Il risultato è ovvio: il Nord diventa meno competitivo, visto che è più semplice per l’estero fargli concorrenza (se devo essere pagato poco mi faccio pagare poco nell’est Europa dove il costo della vita è basso e con quello che mi pagano prendo un appartamento in centro, non a Milano dove devo trasferirmi a Cambiago per poter vivere decentemente pur lavorando nella Capitale) mentre al Sud comunque non si assume più di tanto se non con contratti capestro o in nero perché quasi nessuno pagherebbe quanto pagherebbe a Milano per avere una quantità di servizi decisamente minore.
Alla fine, non è un mistero: lo stato al Sud è un datore di lavoro molto, molto più importante che al Nord, proprio per questa ragione. Senza questo “lavoro”, che però derivando dalla tassazione abbassa gli stipendi, probabilmente parleremmo di un Sud con livelli di occupazione da paese dell’Africa o che, per sopravvivere, vive di economia sommersa come uno stato socialista sudamericano.
Se ci fosse la contrattazione locale, invece, gli stipendi sarebbero ben più adatti, così come accade in Germania: alti salari seguono l’alta produttività, zone a bassa produttività hanno salari più bassi, incentivando quindi imprese ad aprire grazie alla leva salariale.
Non è nulla imposto dal centro, non è che la capitale dice “ok la Baviera prende X mentre la Sassonia ⅔X”, sono i procedimenti locali che portano a un giusto stipendio locale.
E, chiaramente, ciò può accadere anche ai medici: esattamente come c’è differenza di salari nazionali potrebbe esserci differenza di salari regionali.
E la cosa è ovviamente positiva, pensateci: se imponessimo un salario unico europeo per i medici adeguato a quello tedesco strangoleremmo le sanità dei Paesi più poveri che spenderebbero la gran parte del budget solo in salari, mandando le strutture in malora e non potendo acquisire nuove strumentazioni.
Idem al Sud: se i salari fossero adeguati alle necessità locali vi sarebbero più fondi per modernizzare la sanità e, mentre l’economia tutta cresce, arrivare alla fine a salari comparabili.
Mentre l’uguaglianza forzata romana crea solo più disparità e condizioni di sottosviluppo permanente.