“È mia profonda convinzione che tutti i popoli desiderino essere liberi e che l’aspirazione alla libertà sia radicata nell’animo di ognuno di noi. Un popolo con una lunga storia di soggezione a una dominazione straniera, tuttavia, non sempre trova facile tradurre questo desiderio in azione. Sotto una dominazione arbitraria, le persone tendono a diventare passive, i loro sensi si intorpidiscono. La paura diviene la forza dominante della loro vita; paura di infrangere la legge, paura delle misure punitive che potrebbero seguire a un tentativo fallito di spezzare le catene. Coloro che guidano la lotta per la libertà devono debellare l’apatia e la paura. Devono dare espressione pratica all’universale anelito alla libertà. Devono rafforzare la fiducia dei popolo in se stessi e incoraggiarli a prendere parte alla lotta per la libertà. Soprattutto, devono dichiarare i loro intenti in maniera aperta e inequivocabile e indirizzare il popolo al raggiungimento dell’obbiettivo dell’autogoverno.”
Con queste bellissime parole Francis Nwia-Kofi Ngonloma, al secolo Kwame Nkrumah ha fornito una solenne spiegazione alla propria storia politica. E forse ci ha aiutato a riflettere sul tema delle libertà.
N’Krumah e’ stato un controverso e a tratti autoritario, rivoluzionario africano. Una delle figure di riferimento della lotta al colonialismo e un importante teorico dell’indipendenza del proprio paese, del quale arrivo’ ad essere il primo presidente dello stato che nel frattempo era divenuto indipendente: il Ghana. Ovviamente un simbolo per molti cittadini del continente nero che hanno lottato contro lo sfruttamento da parte di alcuni voraci paesi della vecchia Europa.
Leggendo questo passaggio nei giorni scorsi ho provato una sensazione di forte condivisione e attualità. Fatte le debite distinzioni, sociali, storiche e culturali, mi sono ritrovato nei contenuti del pensiero di uno dei più importanti combattenti per l’autodeterminazione dei popoli del secolo scorso. E nel sommario identikit del cittadino sottomesso che tende a “diventare passivo” ho rivisto il popolo lombardo di questi ultimi mesi. Un popolo sfruttato e deriso per decenni da uno stato centralista che oggi addirittura si spinge oltre: odiandolo e non facendone mistero.
Il trattamento che è stato riservato ai lombardi in questo periodo era per certi versi prevedibile, ma non per questo meno intollerabile. Che la Lombardia prima della classe fosse antipatica a buona parte delle sanguisughe del sistema era cosa nota. Invidia e gelosia da sempre condizionano i giudizi dei perdenti cronici. E a molti di questi non è parso vero improvvisamente vedersi materializzare alcune incrinature e qualche segno di debolezza.
La difficoltà creata dal peggior malanno di sempre è stata vissuta con un sadico senso di soddisfazione da parte di tutti quegli sfigati che per decenni avevano mal sopportato l’idea che ci fosse un popolo che poteva far meglio di loro. Hanno tollerato i lombardi perché non ne potevano fare a meno. Del resto chi avrebbe continuato a produrre ricchezza e pagare per tutti altrimenti ?
Quindi con la stessa ammirazione che viene riservata per il primo della classe dal pluriripetente cronico, per tanto tempo i Lombardi sono tanti blanditi da buona parte di soggetti che in realtà schiumavano di invidia nei loro confronti. Si badi bene, invidia fine a se stessa. Guai a provare ad emularli. Guai a cercare di migliorarsi. A cosa poteva servire in fin dei conti? Perché dovrei fare io qualcosa che può fare qualcun altro e che poi malvolentieri sarà costretto a pagare per tutti? Si è andati avanti così per più di un secolo e il risultato è sotto gli occhi di tutti ormai. La categoria che più mi sorprende e’ quella di chi si stupisce. Fra gli stipiti eccellenti, uno su tutti: Ferruccio De Bortoli, che in un intervista ad Huffington Post ha dichiarato:
“Ancora oggi mi sento un po’ appestato. Non esco da Milano. Rimango a casa il più possibile. Ascolto racconti di amici che sono andati fuori dalla Lombardia e sono stati accolti da battutine, insinuazioni, cattiverie. Alcuni hanno dovuto subire anche un cartellone che diceva: “Torna a casa tua”. Sono cose che mettono a disagio e feriscono le persone. Uno spirito anti lombardo è emerso nel Paese. Come se vedere colpita questa Regione, sempre definita un modello, anziché suscitare vicinanza, desse un piacere che i tedeschi definiscono con una parola precisa: schadenfreude, gioia per le disgrazie altrui. Non è più accettabile . Bisogna reagire. Dire basta”.
Tombola! Musica per le mie orecchie! E se arriva a dirlo uno dei più posati benpensanti della stampa che conta, provate ad immaginare come si sente l’idraulico in fondo alla mia via? Era ora viene quasi da dire….ma non pare sia finita qui. Infatti sempre il nostro stranamente scomposto direttore aggiunge: “ Le posizioni sbrigative e sprezzanti contro Milano e la Lombardia nascondono un’invidia sociale nei confronti di chi è stato sempre ritenuto migliore. Sta succedendo in Italia qualcosa di simile a quello che accade in Spagna con la Catalogna ed è successo in Gran Bretagna con Londra, ed è all’origine della Brexit: si detesta chi è più ricco, chi è riuscito a cavarsela nel mondo, chi ha espresso al meglio le proprie capacità”.
Tutte cose già dette da molti di coloro che fino ad oggi sbrigativamente venivano catalogati fra gli scettici poco generosi e nemici dello stato centrale. Ma che di questi tempi evidentemente sono tornate ad essere patrimonio comune e opinione diffusa. I Lombardi di oggi stanno allo stato centrale quanto i “negri” della allora Costa d’oro stavano ai coloni inglesi.
Molti lombardi oggi sono i nuovi “negri” del Ghana, sfruttati e dileggiati quanto loro dagli sfruttatori che si nascondono dietro un tricolore. Speriamo che arrivi presto un nuovo Kwame Nkrumah.
Per ora sono rimasti solo mesti ascari politici in circolazione.