Gli italiani sono scandalizzati dall’idea di dover pagare per i test sierologici. Per loro è una vergogna che tali cose siano lasciate alla determinazione del mercato, che rende la salute una commodity, e non ad un piano dell’onniscente ed onnipresente Stato.
Eppure c’è un Paese che ha contenuto efficacemente il coronavirus e ha probabilmente fatto meglio anche della mia tanto amata Germania, pur rispettando gli stessi principi. Parliamo della Corea del Sud.
La Corea del Sud è stata in grado di effettuare un elevatissimo numero di tamponi e di avere una capacità così elevata che molti tamponi sono stati venduti all’estero ed è capitato che venissero importati dei tamponi in Corea del Sud per l’analisi.
La sanità sudcoreana è fortemente orientata al mercato. Se la sanità tedesca che ho descritto nell’articolo linkato in precedenza ti ha lasciato a bocca aperta probabilmente quella sudcoreana ti farà svenire: più del 90% degli ospedali è privato e non esiste alcun finanziamento diretto: per vivere bisogna attrarre clienti.
Il Paese vive in un particolare equilibrio: tutti i cittadini sono assicurati dallo Stato che copre le prestazioni essenziali e parte delle altre, molti hanno un’assicurazione privata per coprire ciò che lo Stato non copre e l’assistenza viene fornita da ospedali che hanno convenienza a curarti, non “la prossima visita è tra due anni, se viene privatamente 4 giorni”.
E, lo ammetto, non mi piace il termine clienti in sanità. Ma preferisco essere chiamato cliente e trattato bene che paziente e dover pazientare mesi e mesi per cure decenti.
Per fare un tampone in Corea del Sud non serviva un certificato firmato dall’archiatra di Moon Jae-in col timbro dell’ASL di Busan: si andava nel laboratorio di un ospedale privato a pagamento, al costo di circa 125€. Se il tampone era positivo l’assicurazione rimborsava, altrimenti pace amen.
Ciò ha permesso, nei fatti, due cose importantissime che non si sono viste in Italia:
- Convenienza economica nel fare tanti tamponi da parte degli operatori privati, che in un modo o nell’altro i soldi li prendevano (e sono anche arrivati a sviluppare tecniche più efficienti per farli per guadagnare di più)
- Scoperta di focolai: persone che qui per la scarsità di tamponi non abbiamo testato e magari hanno infettato lì venivano scoperte proprio grazie a tale meccanismo.
Certo, qualcuno ha tratto profitto da ciò. Ma proprio perché qualcuno ci ha tratto profitto c’è stata la convenienza nel fare tanti test e perché essi erano aperti a tutti e farne uno ad un sano non vuol dire toglierne uno ad un malato.
Il governo sudcoreano ha poi deciso di cambiare una cosa, introducendo la gratuità anche per chi ha avuto contatti con un positivo o chi ha particolari condizioni mediche.
Siamo comunque ben lontani dall’idea italiana per cui lo Stato, e solo lo Stato, debba fare tamponi e test sierologici e che quando il San Raffaele aveva fatto dei tamponi a pagamento aveva dovuto dire “disguido”.
Alla fine la lezione che abbiamo imparato è questa: belli i discorsi alla Gino Strada sulla sanità senza profitti ma “il mondo dei bambini grandi” non funziona così.
Coi tamponi ormai abbiamo perso il treno e solo quei pochi con un pubblico sufficiente per farli oltre alla volontà, come il Veneto, ce l’hanno fatta. Evitiamo lo stesso errore con i test sierologici: lasciamo lavorare il mercato, iniziamo ad aver fiducia in esso e lasciamo al pubblico il ruolo di garante che i test siano effettivamente tali e di pagatore per chi non può permetterseli o ne ha davvero bisogno, negoziando con i fornitori privati acquisti “massivi” per tali scopi e non creando inutili misure che, nei fatti, servono a sfavorire i test privati in attesa che il pubblico, che a malapena riesce a farli ai suoi dipendenti, abbia la capacità per farli a tutti.
La Corea del Sud ci dimostra che è la strada giusta.