Ah, che bella roba il valore legale del titolo di studio. Già Einaudi negli anni ’60 ci avvisava di tutte le insidie di esso, ma non l’abbiamo ascoltato.
La sua idea, molto semplice, era che non servisse lo stato nella certificazione delle scuole. Ci avrebbe pensato il mercato una volta obbligate le persone a scrivere dove si son diplomate. Se oggi il nostro garante unico è “Repubblica Italiana” in un sistema di mercato se ne sarebbero sviluppati di più, alcuni più seri altri meno. Ma, diciamocelo chiaramente, per una scuola il nome è tutto. Una volta che togli il timbro dello stato un diploma della scuola “Manica larga” o “Lode per tutti” (nomi scelti da Einaudi, aveva un buon senso dello humor) non vale un tubo. Se iniziassero a diplomare asini in pochi anni dovrebbero chiudere bottega perché nessuno si fiderebbe più di loro. In sostanza il business, pubblico e privato, del “vieni qui che ti diplomo” si estinguerebbe, mentre fiorirebbe il business del “vieni qui e ti educo”, anche di chi, magari, oggi insegna bene ma in modo nonstandard ed è costretto a fare le cose aumma aumma.
In ogni caso l’idea di un diploma unico nazionale è stata tradita dai fatti. Nessuna persona normale ci crede dopo che con questi dati INVALSI al Sud fioccano i 100 e lode. Nel settore tecnico contano mille volte più le competenze e cento volte più le certificazioni di qualsiasi diploma di stato.
E l’ennesimo chiodo sulla bara arriva con la proposta di un diploma semplificato per quest’anno: in sostanza, visto che la scuola pubblica ha fallito nel mantenere un’istruzione adeguata al 2020 e non al 1820 (e che diavolo, i computer esistono da anni ma fino a ieri li usavano ancora come usavano la Perottina cinquant’anni fa), abboniamo il fallimento promuovendo tutti e facendo solo un colloquio orale ai candidati, come hanno proposto poco fa se la scuola non ricominciasse per maggio.
Tralasciando che promuovere una persona che non ha studiato bene vuol dire solo spostare il problema (ché se non hai capito le derivate non è che il timbro del MIUR ti farà capire gli integrali l’anno dopo) ciò vuol dire, in sostanza, dare un diploma di pari validità rispetto a quello di chi l’ha preso, con più difficoltà, negli anni precedenti, solo perché lo Stato ha fallito nel reagire all’emergenza da un punto di vista scolastico.
Con questa mossa la fiducia nel marchio istruzione “Repubblica Italiana” è appena appena sopra a quella di “Lode per Tutti” ed equivalente a “Manica Larga”: Dopo i 100 e lode in zone dove, di media, non si parla l’italiano a livello decente, dopo l’aver pari diplomi per zone dove i licei sono meno competenti in matematica degli ITI di altre zone e dopo l’abilitare docenti che dicono “uscite i libri dalla cartella” (non è che i risultati degli alunni sian bassi perché son scemi, eh) siamo arrivati letteralmente al regalare i diplomi perché non siamo stati in grado di insegnare alla gente.
Pensate cosa accadrebbe se, non so, una famosa certificazione di lingua non potesse sostenere l’esame in una certa data per problemi strutturali e sostituisse il tutto con un breve colloquio telefonico: nel migliore dei casi dovrebbe annullare il tutto con mille scuse e far saltare non poche teste, nel peggiore fallirebbe visto che avrebbe perso tutto ciò che ha: il nome.
Ma, allora, a chi giova il valore legale com’è oggi? In larga parte al solito parassitismo italico. Nella stragrande maggioranza del mondo del lavoro, eccentuando qualche impresa particolarmente pigra, il numerino sul diploma non conta nulla e si potrebbe tranquillamente sostituire con delle certificazioni.
Sapete dov’è importante quel numeretto? Nei concorsi pubblici! Si tratta di una delle varie scriminanti per decidere chi benedire e chi lasciar fuori in attesa della sentenza “tana libera tutti” del TAR. E idem la qualifica denota anche vari livelli salariali nelle organizzazioni pubbliche: ci sono quindi militari che si mettono a studiare a cinquant’anni per diplomarsi prima della pensione e andare con una cifra più alta così come ci sono i bidelli che si comperano il diploma per poter salire di livello.
In sostanza l’attuale valore del titolo di studio è funzionale solo al sistema stato nelle sue articolazioni peggiori. Perché non cambiarlo? Dobbiamo arrivare al momento in cui il diploma sarà da appendere al cesso per non farlo vedere troppo?