Ancora una volta vengo preso dal desiderio di scrivere un breve commento leggendo il recente editoriale apparso sul Corsera giorni orsono a firma Giavazzi/Alesina, noti presunti alfieri del liberismo nostrano, in realtà come vedremo alfieri di soluzioni quanto meno “bizzarre” dei problemi socioeconomici sul tavolo globale.
L’altro “trigger” che mi ha spinto all’intervento è la indubbia deriva geopolitica che si sta attuando negli ultimi tempi, considerando gli esiti delle ultime elezioni. Parto da qui: Brexit, elezione di Trump, elezioni in Polonia, Bulgaria, aggiungerei la Grecia, alcuni paesi sudamericani, e se vogliamo gli elevati riscontri numerici della Lega in Italia, i lepenisti, la stessa AFD nell’ex-DDR mostrano che la cosiddetta soluzione “sovranista”, o comunque di difesa del particulare (magari attraverso politiche di dazi) sta riscuotendo molti consensi su scala globale.
Giova però ricordare che la povertà su scala mondiale è comunque diminuita negli ultimi decenni; c’è più gente che può spartirsi la torta per mangiare. E se ciò è stato possibile, pensiamo una volta tanto ai positivi effetti della globalizzazione: se ad esempio i prodotti tessili, i prodotti alimentari, o gli stessi prodotti tecnologici costano di meno è o non è merito del libero mercato, della concorrenza (quella sana of course) e del più facile accesso alle merci? Quindi chiudersi in se stessi porta a lungo andare all’isolamento e alla difesa di prodotti che alla lunga non possono essere competitivi.
Altra cosa per inciso è la difesa dell’autonomia regionale all’interno di ciascuno stato, basata su principi meritocratici (vedi meccanismo del residuo fiscale) che ben si inquadrano in un’ottica liberale di tipo premiante. Dall’altra parte, si sta assistendo (e me ne dolgo) ad una forte deriva di tipo socialista negli stati ove il sovranismo fatica ad attecchire. Prendiamo le ultime tornate elettorali: Spagna, Portogallo, Svezia, Danimarca, Olanda.
Ma soprattutto consideriamo la deriva verso una globalizzazione improntata ad un forte interventismo statale della nuova commissione Europea, ben testimoniata dall’intervento programmatico della Von der Leyen e ancora di più lo spostamento a sx della CDU (che non a caso sta inglobando la SPD), con ad esempio il piano pluriennale di 100 miliardi di euro a favore di un magari in parte giusto, ma al momento quanto mai nebuloso investimento in green economy.
Persino il liberale Giappone di Abe ha attuato negli ultimi anni una politica monetaria espansiva con aumento della spesa pubblica e solo di recente si è orientato su provvedimenti volti a migliorare produttività e competitività. Questo, insomma è lo scenario globale: o si va di qua (sovranisti) o se si ragiona in termini globali si va di là (socialismo).
I discorsi sulla “terza via” mi hanno sempre fatto venire l’orticaria. Però penso sia giusto chiedersi: ma che fine ha fatto nel mondo il liberalismo/liberismo economico? E’ stato sepolto da alcune indubbie devianze di economia non controllata (mi viene in mente il crac Enron, o in Italia il crac Parmalat)?
Ma non sembra di guardare il dito anziché la luna? Se, come giustamente asseriscono Alesina/Giavazzi, cui presto mi ricollegherò, la ricchezza complessiva mondiale è cresciuta, e le disuguaglianze nel mondo sono diminuite, grazie al commercio internazionale (ad es la differenza del reddito pro capite tra un cittadino indiano e uno statunitense si è dimezzata da 24 a 12 volte negli ultimi 40 anni), forse che tutto questo non è merito del liberismo economico? Fin qui nulla da dire, quindi sull’analisi dei due economisti.
Ma poi viene il “bello”… Ora essi sostengono che la disuguaglianza è particolarmente inaccettabile quando si accompagna ad immobilità sociale, cioè quando i ricchi rimangono ricchi per generazioni anche se fan poco o nulla, mentre i poveri rimangono affossati anche se si impegnano per uscirne. Ma questo nelle democrazie liberali occidentali NON E’ VERO!
Pur tra mille lacci e lacciuoli, chiunque abbia avuto idee geniali (da Jobs a Zuckerberg, di umili origini, in giù), magari assistito anche dalla fortuna che non guasta mai, dalla voglia di realizzare, se vogliamo da spirito di sacrificio e quotidiana applicazione, di ascensori sociali ne ha presi a bizzeffe! Chi poi è arrivato a quei livelli, se lo merita, se è onesto, perché deve essere soggetto a più o meno malcelate politiche redistributive che la storia ci insegna essere massificanti verso il basso (ricchi un po’ meno ricchi, poveri sempre poveri)?
E invece i presunti vati del liberismo italiano cosa propongono?
1) rifiutare il protezionismo. Ok giusto
2) tassare eredità e donazioni familiari “inter vivos” con detassazione delle quote di eredità destinate a enti no-profit, per ridurre il trasferimento di ricchezza tra generazioni di ricchi. Ma che roba è? Un editto sovietico? Ma il liberismo non dovrebbe difendere il meritorio raggiungimento di uno status di benessere (ripeto raggiunto con mezzi leciti, ovvio)? E favorire per questo consumi e sviluppo di cui in prospettiva tutti (anche i meno benestanti) possano beneficiare?
Allora faccio una considerazione: sta il liberismo evolvendo verso posizioni che questi due signori incarnano, poichè i tempi (cambiati rispetto al boom dell’asse Thatcher/Reagan) impongono nuove scelte di strategia socio-economica? Io non credo.
Serve però un’adeguata divulgazione dei meriti storici, dei principi e dell’applicabilità di tale dottrina. Se no, le opinioni di due pur rispettabili economisti rischiano di condurla nel dimenticatoio (embricandola in un vago socialismo liberale) o ancor peggio a favorire lo sviluppo di una destra e una sinistra illiberali e quindi pericolose.