Francis Fukuyama nel 1992 pose la tesi della “fine della storia”, intesa come fine della contrapposizione fra i due modelli di vita: quello vetero e neo marxista e quello liberal o social democratico. Prendendo atto della caduta dei ”socialismi reali”, riteneva che la dialettica ideologica fosse finita. Il comunismo aveva perso.
La tesi si rivelò inesatta per almeno due ragioni:
entrò nello scenario globale il nuovo modello proposto dall’ espansionismo islamico in coincidenza con la caduta dei valori cristiani che sono alla base del modello liberal o social democratico (il modello occidentale). Terza via che coinvolge oltre un miliardo di fedeli: fedeli in tutti i sensi perché il modello islamico non prevede, anzi esclude, che ci sia differenza fra fedele e cittadino. Il modello è francamente teocratico. A me non piace
L’ideologia vetero e neo marxista non morì con la morte dei “socialismi reali” ed è tuttora vitale pur annacquata e meticciata. Basta guardare anche con negligenza a quanto oggi succede in Venezuela e agli schieramenti puramente ideologici che tale situazione provoca.
Che la gente stia male, ma male davvero, in pratica nessuno lo disconosce: la gente sta male. Che il sostegno a Maduro sia garantito dall’esercito e non dalla maggioranza del popolo lo dice lo stesso Maduro. Del resto è un algoritmo costante nella storia: i vari partiti marxisti vanno al governo per rivoluzioni elitarie o per metodi democratici. A mia memoria mai hanno preso la maggioranza parlamentare (a cominciare dai bolscevichi nel 1997 russo) ma governano come se la avessero: nazionalizzano e statalizzano l’economia, inaridiscono le fonti della ricchezza, aumentano i vincoli burocratici e i controlli sui singoli, ostacolano ed eliminano con cinismo i partiti avversari, creano il partito unico, demonizzano i borghesi, impoveriscono i cittadini che vanno in piazza a protestare e si trovano davanti i carri armati: l’algoritmo è sempre lo stesso, oggi in Venezuela, ieri in Ungheria, in Cecoslovacchia, in Polonia, in Cina, eccetera. In Cile addirittura riuscirono a fare una icona di un dubbio figuro politico come fu Allende: in queste operazioni la sinistra globale ci è maestra perché ha ormai centenaria esperienza. Ricordate Stalin dipinto come buon padre dei popoli diseredati?
E tuttavia l’ideologia regge, c’è sempre una parte di pubblica opinione che approva i Maduro di turno spostando l’attenzione dai drammi interni all’imperialismo di marca occidentale che da decenni è rappresentato dagli USA. Persino l’Iran trova estimatori: il problema per costoro non sono le condizioni di vita dei cittadini venezuelani o iraniani, che ben conoscono ma cui sono del tutto indifferenti, è invece la quasi patologica lotta contro il sistema occidentale.
Lunga premessa per cercare di dimostrare che la storia non è finita neanche in Italia: gli italiani che vanno a votare sono TUTTI dentro a uno dei due cluster ideologici, schermati, meticciati, confusi ma vivi e vegeti.
Il cluster “di sinistra” e il cluster di centrodestra. Lì dentro poi ognuno sceglie il partito che vuole ma non emigra mai dalle appartenenze ideologiche.
A sinistra
la situazione italiana si è involuta con un PD, presunto erede dell’anti occidentalismo che ha nel suo DNA, che si è impantanato con le arroganti elites culturali ed economiche (che ipotizzano il sole ecumenico dell’avvenire ma che si trovano benissimo a Capalbio a discettare fra di loro e guai se c’è in giro un immigrato, anche se regolare) mollando al proprio destino il proletariato. Anzi vi ha inserito nuovi attori provenienti da terre lontane e portatori di culture predatorie, individualistiche, claniche: nulla da spartire con l’Internazionale Socialista e neanche con l’ecumenismo cattolico: qui vale la legge della Jungla. Il più forte vince e i nostri perdono, ma si “incazzano” con buona pace dei salotti buoni e di Papa Francesco.
Non perdiamo tempo con le altre formazioni della sinistra/sinistra che hanno il coraggio civile di riproporre il canto della sirena vetero marxista: messi insieme (cosa impossibile!) vanno dal 4 al 5%.
Da ultimo è arrivato sul palcoscenico della sinistra italiana il M5S con programmi misti e mistificatori. Ma che cosa è l’assioma di fondo, la decrescita felice, se non un nuovo strumento di contrasto al sistema liberal/social democratico dell’Occidente?
La contrapposizione è molto schermata e molto mistificata, tipica della mentalità levantina del rione Sanità, furba, cinica, disinvolta come lo è il magliaro Di Maio: sorriso untuoso e modi suasivi. Invece di venderci la Fontana di Trevi vuole venderci la versione neo marxista di Casaleggio & co.
Ma alla fine le anime belle di sinistra, comprese quelle del cattolicesimo militante, sceglieranno fra queste proposte.
Sul versante del Centrodestra mi pare di poter dire che
Forza Italia si macera nella attesa della svolta finale del suo leader che non ha eredi. Nel frattempo cerca di salvare il salvabile ma più in termini di sopravvivenza interna che di espansione esterna. Tolto il vecchio leone, davvero indomabile, chi resta: alcune gradevoli signore, lustre come uscite dalla copertina di Grazia, e qualche signore che ha l’appeal di un paracarro. Ma Forza Italia resta di sicuro nel cluster occidentalista.
FdI fa una proposta chiara e schierata, sicuramente occidentalista, e ha trovato nella pugnace Meloni un leader credibile. Le due cose insieme le assicurano una buona crescita.
E la Lega? Pare oggi il nemico pubblico numero uno. È nel mirino di tutti: ma abbiamo visto come la pensano gli italiani.
Perché il problema è di cultura e, sul versante politico, di rappresentanza, molto più che di progetti di periodo medio/breve.
Io vedo così la questione: la Lega è consolidata nel Nord Italia, personale politico di notevole livello, esperienza di governo locale con risultati lodevoli, rappresentanza dei ceti produttivi, intransigenza verso intromissioni di culture aliene e prepotenti. La vecchia bandiera del federalismo non sventola più ma rimane quella dell’autonomismo, sul quale tanto i lombardi quanto i veneti hanno espresso pareri non eludibili, neanche numericamente.
Salvini ha portato la Lega al Sud e ha raccolto buoni consensi: onore e plauso al merito. Del resto l’unico modo per essere un partito in grado di guidare l’Italia era quello di permettere a tutti gli elettori italiani di dare o negare consensi alla Lega: prima chi abitava a sud della Toscana non poteva farlo. Non era possibile, al di là degli aridi numeri, poterli rappresentare. Ma i nuovi consensi che vengono dal Sud del Paese hanno esigenze spesso alternative a quelle consolidate del Nord. Il primo problema sarà quello di metterle in sintonia, mai dimenticando che i consensi meridionali sono storicamente molto più liquidi di quelli settentrionali.
Sulla autonomia il magliaro Di Maio fa manfrina, come sulle opere pubbliche, come sulla legittima difesa, come ormai su tutte le proposte della Lega, mentre cerca di arraffare quello che può delle (poche) risorse disponibili per distribuirle all’elettorato di cui ha la rappresentanza. Chi non può più far manfrina è la Lega almeno su alcuni temi, primo fra tutti proprio l’autonomia.
Diversamente che su altri temi condivisi a Nord e a Sud, qui si gioca una partita sensibile all’interno della Lega. Se non arriva l’autonomia e a prescindere dalle reazioni dei generali leghisti del territorio, va a rischio la consolidata rappresentanza stessa del partito.
Con tutto questo la Lega è diventata forse la più genuina espressione italiana della cultura occidentale.
In conclusione: superata la prima tappa della nottata fra il 26 e il 27, c’è adesso la seconda tappa. Un’estate calda anzi bollente nelle attese meteorologiche ma anche in quelle politiche:
Durante l’estate Salvini dovrà decidere se continuare sulla falsariga dell’occidentalismo e rappresentare i ceti medi produttivi del Sud e del Nord, pur con le obiettive differenze di bisogni di ciascun territorio oppure se prenderà strade diverse e probabilmente più impervie.