Se fossero due Stati differenti il Nord sarebbe l’unico partner economico del Sud e il Sud il principale partner del Nord. Viene ovvio pensare, dunque, che un governo del Sud, se vi fosse una secessione, dovrebbe puntare sul suo unico partner e provare ad offrire un qualcosa ad esso che è difficile offrire nella sua terra natia, ad esempio forza lavoro più economica oppure ampi campi coltivabili.
In effetti il Nord, che ha già rapporti commerciali in loco, avrebbe tutta la convenienza a mantenerli, ricordiamoci che il Sud conta circa 100 miliardi per l’economia del Nord.
Sembra un numerone ed in effetti lo è: È 1/3 del PIL lombardo. Ma è anche pari, circa, al residuo fiscale del Nord. In sostanza, per il Nord, il Sud è un elemento quasi neutro, ma tutto ciò a causa dell’Italia che incassa quei 100 miliardi che il Sud dà per usarli principalmente per il Sud.
Se è vero che tanti lavori al Sud sono nel pubblico, quindi in sostanza creati con questi soldi, è abbastanza impensabile che siano tutti così. Esiste dunque un mercato privato, dal quale il Sud può ripartire se liberato dal giogo dello statalismo.
Infatti per la media politica meridionale creare lavoro vuol dire assumere nel pubblico. Ma questo non è un vero lavoro, perché viene in gran parte pagato dal Nord, che in sostanza sta pagando la gente per comprare i suoi prodotti.
E qui c’è la chiave del tutto: Il Nord ha convenienza nell’industrializzazione del Sud. Infrastrutture, istruzione, sedi distaccate: Sono tutti campi sui quali il Nord sarebbe ben lieto di investire per rafforzare l’economia meridionale traendone profitto.
Certamente il Nord non manterebbe un esercito di dipendenti pubblici. ciò spingerebbe anche l’elettorato locale a votare per politici in grado di creare vera prosperità, di spingere per una crescita industriale e nei servizi e per un’economia sostenibile.
Ma qual è la proposta del neoborbonico/orgoglioso sudista medio?
Di chiudere l’economia meridionale al Nord. Cosa che, chiaramente, causerebbe qualche decina di miliardo di danni al Nord. Ma, mentre il Nord subirebbe qualche danno economico che lascerebbe qualche grana al governo settentrionale, il Sud si troverebbe senza il suo unico partner commerciale, con un settore primario che produce con difficoltà, un secondario che arranca e un terziario scarso. Calerebbero i finanziamenti per il pubblico, che può significare un aumento della disoccupazione non da poco, oltre che un calo di servizi, già oggi di scarsa qualità.
Il Sud autarchico si troverebbe ad affrontare un enorme periodo di crisi infrastrutturale, sociale, lavorativa ed economica. Dover creare un’economia completamente nuova senza arrivare ad una situazione in stile Grecia sarebbe la sfida della politica meridionale, con la tentazione di seguire il cammino del debito che pende come una spada di Damocle sulla testa, e sui conti, dei cittadini del Sud.
Inoltre tutti gli investimenti di aziende del Nord, loro malgrado, terminerebbero. L’agricoltura, attualmente in crescita, dovrebbe di fatto convertirsi alle esigenze autarchiche del nuovo governo, perdendo terreno nella dimensione economica mondiale. Campi che, magari, oggi producono varietà di prestigio vendute in Europa dovrebbero essere convertiti a campi di pomodori per far mangiare i cittadini. È ampiamente probabile che il governo decida di agire in maniera semi-sovietica nazionalizzando e gestendo direttamente vari settori della vita.
Tutto ciò per creare un danno economico al Nord che un governo oculato sarebbe in grado di gestire senza particolare difficoltà, dato che il danno economico sarebbe tutto sommato contenuto e i settori su cui il Nord fa conto al Sud sono sostituibili in maniera abbastanza semplice, dall’agricoltura al tecnico, mentre l’inverso non è generalmente vero. Inoltre si può presupporre come la crisi economica meridionale possa portare ad una certa immigrazione da Sud a Nord, cosa probabilmente benefica in un’eventuale sostituzione dei servizi.
Un esempio abbastanza recente è il Kosovo, che ha imposto un dazio del 100% su vari prodotti serbi. Risultato? I kosovari pagano di più i prodotti serbi, spesso fondamentali, che comprano ma in linea di massima li comprano lo stesso. Se per l’economia serba la perdita è stata minima i kosovari hanno molto potere d’acquisto.
Sarebbe l’equivalente politico del marito che si spara nelle balle per dar fastidio alla moglie.
Tuttavia, da ciò, possiamo trarre una lezione: L’indipendentismo non può essere odiare il nostro principale partner commerciale. Possiamo permettercelo ma sarebbe folle e ci farebbe impoverire.
Dobbiamo, però, ripensare il rapporto che ci lega: Da un sistema dove il Nord finanzia a uno dove il Nord investe, dove il rapporto non sia unico e patologico ma crei benefici per ambo i lati. E che, soprattutto, trasformi i sudditi che vivono grazie alla benevola mano della politica in soggetti capaci di creare ricchezza per sé stessi, cioè dei cittadini, indipendenti dalle misure clientelari che non creano ricchezza ma la distribuiscono meramente.
E, nel farlo, è più conveniente parlare con la locale società civile, oppressa da Roma tanto quanto noi, che pensare a governare Roma o all’unilateralità.