E così dopo tanti anni di divulgazione appassionata, di errori, di alleanze fallite, di lotte intestine, di figuracce clamorose, di denunce, manifestazioni, montagne russe elettorali, cappi e manette, cornamuse e Kilt, dopo anni di gazebo e infinite raccolte firme, dopo aver avuto anche il Ministero degli Interni per molti anni, dopo aver avuto contro, tutta, ma proprio tutta la stampa politica e anche quella da intrattenimento, dopo la disillusione e il disincanto, dopo la rabbia e lo sconforto, abbiamo raccolto la residua fiducia votando un referendum consultivo per avere l’autonomia che la Costituzione consente, dopo tutto questo siamo al dunque.
Davanti al governo in cui l’azionista maggiore porta ancora la spilla di Alberto da Giussano scopriamo che le autonomie richieste da Lombardia, Veneto ed Emilia (quest’ultima senza aver fatto referendum per evidenziarne l’inutilità davanti all’allora governo di sinistra…) sono avversate da praticamente tutto il centro sud in blocco, di fatto, tutto il resto dell’Italia.
I governatori di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia (regione a statuto speciale e autonoma solo per spendere…) hanno chiaramente ravvisato nelle richieste del nord economicamente più forte l’evidente pericolo di uno sfaldamento della Nazione.
Ma tu guarda….. noi credevamo fossero distratti e invece “là nissciuno è ffesso”, si sono accorti immediatamente che trattenere parte dei residui fiscali vorrebbe dire avviarsi nel piano inclinato della secessione.
E i governatori nordisti ad assicurare che noooo, non è vero niente , che, anzi, l’unità nazionale ne uscirebbe rafforzata e altre regioni potrebbero chiedere di accodarsi alla richiesta del lombardo veneto per poter “spendere meglio i soldi pubblici”.
In realtà tutti sanno, tutti sappiamo, conti alla mano, che De Luca ha ragione, che il sud rimarrebbe con meno risorse, perché se il nord, come scrisse il Mattino di Napoli “vuole tenersi i soldi” ( forse intendeva dire – i propri soldi- visto che vengono tutti da quelle terre), la fine che farebbero le regioni del sud sarebbe inevitabile.
E allora eccoci qua, ad aver votato l’ultimo referendum anche se ne sospettavamo l’inutilità, eccoci a verificare che la rivoluzione non arriva mai con una circolare ministeriale, i cambiamenti veri non arrivano per accordo, e a pensarci bene ci è quasi più simpatico il governatore De Luca che, sapendo bene cosa significherebbe interrompere il fiume dei preziosi residui fiscali del nord (100MLD l’anno), dice come stanno le cose ai propri cittadini e solleva l’intero sud per protesta. Più simpatico di chi continua a dire che l’autonomia sarebbe un bene per tutte le regioni, mentendo e sapendo di farlo. A parti geografiche invertite col cavolo che il sud avrebbe lasciato 100MLD ogni anno per quarant’anni al resto del paese e non avrebbe avuto alcuna vergogna di rivendicarli.
Sarebbe stato bello poter mostrare gli eventi di oggi a quei milioni di padani ( sessantacinque persone per la Procura) che il 15 settembre 1996 si dettero la mano sulle sponde del fiume Po per una lunghissima catena umana, dileggiata e sbeffeggiata da chi aveva ben presente l’origine dei propri bonifici, ma ancora viva nel ricordo di chi lavora da quarant’anni a testa bassa, sperando che qualcosa cambi in questa pianura, prima di morire.
Sarebbe bello far vedere dove sta finendo il loro sogno, l’entusiasmo che portavano infangandosi nelle golene del Po per mostrare agli elicotteri della Rai (pagati da loro) che il nord c’era ed era stanco di subire.
Ovviamente il risultato sarà una delusione, ma non perché una piccola concessione non sia meglio di niente, no. Il risultato sarà una delusione e forse addirittura una offesa, perché le rivoluzioni sono sempre contro la legge e contro il potere al governo, sempre.
Quando una rivoluzione così storicamente rilevante (quelle tre regioni sono l’area più industrializzata d’Europa e tra le prime al mondo) arriva con un accordo prima del telegiornale, vuol dire che è meglio restare così, solidali e indivisibili, andare allegramente verso il burrone.
Tutti insieme.