Ripartire. È quello che serve al nostro movimento, oggi.
Siamo stati usati e traditi, ma non ha senso piangere sul latte versato.
Ma è facile dire “ripartiamo”. Ma come?
#1: Non come partito
La ripartenza come partito, che a prima vista sembra la soluzione ideale, non lo è. Il problema è che la nostra causa è ancora troppo equivoca, qualcuno la identifica con una Lega Nord che ormai non esiste più, qualcun altro con l’indipendentismo internazionale di sinistra o di destra e qualcun altro con alcune macchiette etnonazionaliste.
Per arrivare ad un partito nordista votabile serve portare la causa nordista nel dibattito politico, oggi monopolizzato dai temi del governo. Di fatti, se oggi non parli di flat tax, immigrazione e reddito di cittadinanza non ti si fila nessuno.
Servono dunque associazioni, istituti, giornali e blog per far conoscere ciò che vogliamo e come vogliamo attuarlo. Si tratta di un procedimento lungo, impegnativo, ma non impossibile e la Voce del Nord, in questo senso, costituisce un esempio importante.
Con un partito, invece, potremmo raccogliere giusto i voti di chi è già convinto e magari eleggere qualche consigliere comunale e regionale. Per poi trovarci a litigare quando è ora di giungere ad accordi utili per la nostra causa, dato che difficilmente in un clima polarizzato si riuscirebbe a “saltare” agevolmente da partito a partito.
#2: Pensando alla libertà economica
Non esiste libertà senza libertà economica, perché senza di essa nessuno è libero di svilupparsi come vorrebbe. Molti confondono “libertà economica” con “poche tasse”, ma non è un binomio certo: Se alcuni Stati le fanno coincidere altri creano benessere con la libertà economica e creano un forte stato sociale con esso.
Libertà economica vuol dire meno burocrazia, meno balzelli e meno ostacoli ad entrare nel mercato come licenze e simili mentre meno tasse vuol dire favorire chi c’è già dentro al mercato. Non è di certo un obiettivo da disdegnare, ma sicuramente la priorità dev’essere aprire il mercato.
Libertà economica è legato anche alla riduzione dei carrozzoni pubblici. Sistemi come la scuola pubblica e la sanità sono spesso più utili come ammortizzatori sociali che come istituzioni. Ciò non vuol dire tornare allo Stato ottocentesco del “me ne frego” ma offrire tali servizi in convenzione, dando al singolo la libertà di scelta sulla scuola da frequentare o sull’assicurazione sanitaria da scegliere, senza imporne una di Stato.
Se uniamo la fine degli stipendi per lavori inutili al risparmio generale che tali manovre vanno a creare si crea ampio spazio per ridurre le tasse, senza intaccare lo Stato sociale.
Questa dovrebbe essere la posizione di un partito nordista, un qualcosa di vicino all’ordoliberalismo: Evitare di manipolare il mercato, tutelarne la libertà e, quando è necessario intervenire, farlo favorendo la concorrenza e non monopoli, pubblici o privati.
#3: Dicendo no al nanny state
Il paternalismo è nemico della libertà e della responsabilità. Benché si mostri sorridente e umano, è come tutti gli altri tipi di governo interventista: soffoca gli sforzi di tutti, fiacca le imprese, incoraggia la dipendenza e promuove la corruzione
Il “nanny state”, in italiano “Stato paternalistico”, è quello Stato che abbandona il suo ruolo di guardiano notturno per iniziare a dettare etica per legge.
Se sicuramente lo Stato deve tutelare la libertà individuale impedendo che essa sia violata da altri, non dovrebbe dire alle persone come comportarsi finché non vanno a violare l’altrui libertà. Il problema è che non esiste una definizione univoca di “bene”, quindi uno Stato paternalistico andrà per forza di cose a ledere la libertà e le credenze di qualcuno, senza dare un beneficio o una tutela ad altri.
Un esempio di questa ipocrisia è sulle droghe leggere: La marijuana fa meno male dell’alcol. Molto meno. Eppure, se l’alcol viene venduto con addirittura lo stemma della Repubblica impresso sopra se uno semplicemente regala della marijuana a un amico può essere accusato di spaccio. Esiste anche una marijuana legale, ma dato che ha THC in bassissime dosi la politica paternalista vuole vietare pure quella.
Ma perché? Per quale motivo lo Stato sponsorizza l’alcol mentre vieta la marijuana? Non sarebbe meglio legalizzare il tutto e lasciare le persone libere di scegliere come vivere la propria vita?
Senza contare che la guerra alla droga ha costi: In danaro (pensate che i poliziotti nelle scuole e nelle stazioni vadano gratis) ma anche sociali (arresti) ed economici (un mercato legalizzato della marijuana creerebbe lavoro). Tutto ciò per impedire a persone consenzienti di fare ciò che vogliono senza danneggiare altri.
Milton Friedman, premio Nobel all’economia, proponeva la legalizzazione di tutte le droghe, e in questo articolo Carlo Lottieri spiega le implicazioni etiche.
Si tratta ovviamente di una proposta al momento probabilmente inapplicabile, ma ciò che dice vale anche nel nostro caso. Vi consiglio la visione del video linkato, semplicemente perché pone il timore e la volontà di fare dello Stato una mamma davanti alla realtà. In un certo senso esautorare l’individuo del proprio potere e responsabilità vuol dire dimenticare l’ultimo gradino della devoluzione, quello più importante: Da qualsiasi potere pubblico all’individuo.
#4: Chiarendo bene cosa significhi l’autogoverno
Tutto il movimento nordista ha confuso termini come “decentramento”, “autonomia”, “federalismo” e “indipendenza”.
A me piace molto il termine “autogoverno”, dato che racchiude in generale la volontà di portare il governo sul territorio, senza specificare il come.
Il problema del miscuglio di forme è che rende solo più arduo diffondere le nostre idee e favorisce l’avversione ad esse, dato che persone magari in linea di massima favorevoli all’autonomia o al federalismo ma contrarie alla secessione assoceranno il tutto in un unico calderone.
Dobbiamo essere i primi a spiegare la differenza tra i vari gradi di autogoverno, spiegarne vantaggi e svantaggi ma sostenere, nelle nostre differenze ideologiche, l’ideale di autogoverno in se.
Sarà poi il naturale corso del nostro cammino a determinare l’orientamento principale del movimento nordista.
#5: Dicendo no all’etnonazionalismo
Piaccia o no nel Nord la maggioranza non è composta dai Brambilla che parlano lombardo ma dai Rossi che parlano italiano. Non sarà arroccandoci sulle posizioni dei bei tempi andati che la nostra causa sfonderà.
Ciò non vuol dire chiedere parità identitaria: Lo Stato spende milioni di Euro per l’identità italiana ma se una Regione investe qualche decina di migliaia è polemica. Bisogna dire basta a questa discriminazione chiedendo che lo Stato non ostacoli più le nostre identità e le nostre lingue, esempio di intervento nell’economia, dato che le lingue regionali, ove godono di riconoscimento ufficiale, muovono milioni di Euro, e di paternalismo, della serie “certo che non vi facciamo parlare dialetto, sennò poi come imparate l’inglese?”, dimenticando che sapere il “dialetto” aiuta ad imparare terze lingue.
Ma non possiamo fare affidamento solo su questo, dato che la nostra battaglia è principalmente una battaglia di libertà, di responsabilità e di lavoro, che non guarda all’albero genealogico. Porsi in modo ostile sul Meridione o sui meridionali rischia di allontanare solo onesti lavoratori residenti qui per le proprie origini.